sabato 28 gennaio 2017

Grigori Rasputin

Elémire Zolla

da Conoscenza religiosa, 4, 1975

Nel 1972, durante un giro di conferenze sul satanismo in città italiane, accadeva quasi dovunque lo stesso episodio; qualcuno dal pubblico si alzava per proporre come esempio di essere satanico Rasputin. A tanta distanza di tempo, com'era intatta la sua fama!



E che cosa rispondere? In tali circostanze i generi letterari possibili sono ben pochi, giusto l'epigramma, il monito, l'epigrafe, la battuta; non era il caso di tentare una difesa della memoria così efficacemente oltraggiata, fu appena possibile ammonire che non esistevano prove, non si dice di satanismo, ma del minimo reato. Grigori Efimovic Rasputin era nato cent'anni esatti prima di quelle imbarazzate risposte, nel 1872, nel mese di giugno, nel villaggio siberiano di Pokrovskoe. Fanciullo, amò la preghiera e le letture sacre e, quando ebbe dodici anni, manifestò pubblicamente la sua vocazione. Nello stanzone della sua casa si erano riuniti i capifamiglia di Pokrovskoe per consultarsi su un misterioso furto di cavalli; Grigori, che stava rannicchiato febbricitante sotto le coperte, all'improvviso si alzò, gridando che il ladro era uno dei presenti, il più ricco e insospettabile. Risultò vero. Già allora la mente di Grigori era dunque folgorata da verità ignote a tutti. Questo privilegio tremendo lo portò ad appartarsi, ma non lo incupì, anzi era lui il primo al ballo come alla fienagione, e sapeva diventare un festoso re dei conviti. In seguito, nella vita, sempre la letizia gli sembrerà il segno naturale della fede; nella maturità, scrivendo da Gerusalemme agli amici, dice che più della latina gli sembra religiosa la Pasqua russa, in cui tutti visibilmente esultano di felicità. C'era nella regione di Pokrovskoe un monastero ed accanto ad esso viveva un romito. Da ragazzino Grigori tentò invano di raggiungere, a piedi, quella mèta. Il giorno in cui riuscì finalmente ad arrivarci, vi rimase per due mesi e si mise sotto la direzione spirituale del romito. Da allora in poi, di quando in quando, come mosso da segreti segnali, partiva di casa per lunghi pellegrinaggi, secondo la tradizione russa degli stranniki, gli asceti laici vaganti, affidati alla provvidenza, di santuario in santuario, assorti in una ininterrotta invocazione di Dio che doveva distruggere dentro di loro fin l'ultima traccia di umane distrazioni. Per spiegare ciò che in loro avveniva, vale forse la pena di rammentare le strane similitudini con cui si parla dei loro emuli in India: si dice che la loro mente, costantemente affilata e appuntita, diventa come la proboscide d'un elefante che, dovendo reggere sempre un peso, rimane tutta tesa e immobile. Bisogna pur accennare a queste tecniche di trasformazione della psiche, così difficili a spiegare, che la tradizione ortodossa custodisce, perché soltanto rammentando che Rasputin le praticava, si può sperare di comprenderlo; ignorando questa premessa si cade nell'ingenuità di chi l'ha preso per un semplice contadino siberiano dall'inconsueta, ipnotizzante vitalità.

Quando gli morì la madre, Grigori assolse al suo dovere familiare e contadino portandosi in casa una sposa. Diventò padre e i paesani ricorderanno che ballava di gioia stringendosi al petto il bambino. Ricorderanno anche l'affetto tra i due sposi, destinato a non appassire mai.

Il primo figlio morì; per lungo tempo Grigori restò attonito per il dolore. Riprese poi a pellegrinare e raggiunse, a piedi, l'Athos e poi la Terrasanta.

Al ritorno la sposa lo aspettava col nuovo figlioletto, già grandino. Ma era un ritorno diverso dai precedenti. Grigori era mutato, reduce da un'esperienza indicibile, ne era come tutto illuminato dall'interno. E' ormai un maestro e un taumaturgo, discerne l'avvenire, risana i malati, libera gli ossessi, insegna l'orazione. Nel giardinetto davanti a casa edifica una cappella dove spiega ai paesani, che l'hanno visto nascere e crescere, la Scrittura, e prega con loro comunicando con la voce, con lo sguardo e i suoi slanci d'una paurosa intensità.

Ma non c'è un paradiso terreno dove non si aggiri il serpente, una vita misticamente felice è un magnete che attira gratuite persecuzioni: la visione dell'innocenza invelenisce i dannati. Odii furibondi e gratuiti suscita Grigori. Un giorno in un sonnolento commissariato siberiano una donna si precipita, tutta scarmigliata e affranta e racconta fra lacrime e singulti, in ogni particolare, come Grigori l'ha orribilmente aggredita e seviziata. I gendarmi sbalorditi scoprono che in quel momento egli si trova in un luogo lontanissimo.

Che cosa, chi ha allucinato la sciagurata? Ed è appena una di uno stuolo innumerevole, incredibile di indemoniati calunniatori. Fra loro il prete di Pokrovskoe, che denuncia al vescovo la cappellina nel giardino di Rasputin come un covo di turpi riti ereticali. La commissione episcopale incaricata di indagare accerta l'irreprensibilità di quei sacri convegni contadini.

Eppure quest'accusa, mai provata, sempre ripetuta, rimarrà spiaccicata al nome di Rasputin come una bava d'energumeno, aldilà della morte.

La principessa montenegrina conosce Grigori durante un pellegrinaggio in Ucraina e l'invita a visitarla a San Pietroburgo. Mite e maestoso egli s'inoltra nel salone del palazzo, fieramente esorta i principi ad abbandonare lo spiritismo che li ossessiona, quindi si china a guarire la loro cagnolina moribonda.

Sarà presentato allo Zar e alla Zarina. É uno di quegli incontri tremendi, segnati, sui quali lo storico, ogni uomo curioso dell'umano destino, interminabilmente medita nei secoli.

Grigori forse è l'unico che amerà quegli sventurati; basta il suo sguardo, anzi la sua voce al telefono che narra storie siberiane d'animali della foresta a fermare le emorragie dello Zarevic emofilico.

Purtroppo la notizia degl'incontri trapela. Portata dal mare di fango della celebrità, una schiuma pietroburghese di esaltati, di provocatori, di isteriche, di appaltatori, di giocatori di borsa circonda Grigori. Tutte le forze dello Stato russo, la Imperiale Casa eccettuata, sono unite contro di lui. La persecuzione non è più soltanto di dementi isolati.

Attorno alla stufa, nella portineria del caseggiato pietroburghese dove Grigori alloggia, giorno e notte stanno accovacciati i più ridicoli e pericolosi ceffi che la polizia tiene al suo soldo. Tutte le sere i loro pennini grattano, sui fogli dei loro quaderni, interminabili, industriosi rapporti; il farfuglio che cade dalle labbra della pazza del quartiere, del ruffiano della bettola, della baldracca esagitata, tutto costoro raccattano con scrupolo. Con diuturna minuzia di orafi confezionano le loro pallottoliere di sozzura: a ogni costo i desideri dei superiori vanno esauditi e quali siano è ben chiaro. Più volte si è perfino tentato di andare per le spicce; così una mattina l'amata gatta di Grigori, non appena intinta la rosea linguina nel latte, è stramazzata morta.

É ora di lasciare cadere una volta per sempre nell'immondezzaio quei rapporti di spioni, farciti delle loro rozze fantasticherie su libidini e peculati bene intrecciati. Basta una riflessione da niente, decisiva. Se un filo di prova fosse stato appena appena presentabile ad un giudice qualsiasi, come ci si sarebbe precipitati a distruggere l'odiato taumaturgo, con una semplice denuncia! Non si dica che si temeva la protezione dello Zar, il quale non riuscì nemmeno a far punire gli assassini di Grigori.

Perché tutti i circoli politici, la stampa, l'intera compagine dello Stato si erano votati alla distruzione di Grigori? C'era - si è suggerito - chi ne aveva giurato la rovina da quando egli aveva osato deprecare i pogromi. C'era d'altro canto chi temeva di veder dissipata la nebbia delle ideologie dalle sue semplici, popolari verità.

Eppure questi non sono motivi che spieghino l'avversione del primo ministro Stolypin, il quadrato allievo di Mendelciev, come pochi esperto d'uomini e di affari. Quando Grigori gli comparve dinanzi, egli si sentì soverchiato e quasi ne fu paralizzato; allora immaginò d'essere vittima di un tentativo d'ipnosi e si mise a inveire. Il suo era lo sgomento d'un uomo tutto calato in un mondo politico, positivo, dalla religiosità puramente canonica, di fronte a uno sguardo infuocato, mite, insondabile, dell'altro mondo, che lo gettava, per la prima volta in vita sua, nel panico.

Ma esaminiamo l'accusa più tenace fra quante si muovono a Grigori: il suo ascendente politico sullo Zar. Mettiamo una buona volta in fila, in piena luce, i suoi consigli all'autocrate.

Nel 1905 gli suggerisce d'inaugurare il parlamento: un gesto di pacificazione.

Quando l'Austria regola a modo suo la questione bosniaca Grigori va ripetendo senza sosta: «Non vale la pena di combattere per i Balcani. Temi la guerra». Differì in tal modo la guerra mondiale, destinata a scoppiare qualche anno dopo nell'infame 1914, a dispetto dei suoi scongiuranti messaggi, durante la sua assenza dalla capitale.

L'inutile strage fu scatenata, cominciò la serie dei dieci attentati alla vita di Rasputin. Non a caso, egli esortava ora lo Zar a ricevere e ad ascoltare le deputazioni dei contadini, a preparare la ripartizione fra i coltivatori delle terre demaniali, della manomorta ecclesiastica, dei latifondi, a revocare, infine, e subito, le leggi contro le minoranze religiose e razziali.

Fu esasperata l'organizzata diffamazione nei salotti, l'insinuazione sui giornali fu gravata, alcuni giovinastri della nobiltà tramarono l'omicidio.

Una notte del dicembre 1916 il loro capo, il principe Yussupov, riesce ad attrarre nel suo palazzo Grigori, che entra dicendo: «Sai come sono calunniato. Ricordati come il Cristo fu perseguitato. Soffrì a causa della verità».

Yussupov offre dolciumi e madera zeppi di cianuro. Grigori mangia e beve senza dar vista di risentirne.

Yussupov gli mostra un crocifisso italiano di cristallo, egli si china segnandosi a venerarlo. Allora i complici entrano e sparano. Uno di loro, medico, accerta la morte.

Ma il corpo esamine si rialza, ghermisce alla gola Yussupov, che con uno strattone atterrito si libera e fugge. Grigori sarà riabbattuto a rivoltellate sulla neve del parco e ora Yussupov si accanisce su di lui con uno sfollagente. Quando i congiurati lo getteranno in un crepaccio del fiume gelato, pare che ancora protenderà le mani per salvarsi.

Questa la versione dell'assassino Yussupov. Che il taumaturgo dato per morto si rianimasse, pare comunque sicuro.

Si sono allineate le poche notizie sicure sui quarantaquattro anni di vita di Grigori Rasputin. Ma come potremmo avvicinarlo meglio? Come ne faremo una conoscenza più intima?

Due segni non ingannano, lo stile e la grafia.

Alcune sue lettere sono conservate e ci consentono di sorprendere lo stile che è l'uomo. Furono spedite agli amici in Russia durante un suo secondo viaggio in Terrasanta. Nell'assenza di ogni sapienza letteraria, pure chiarissimo ne emerge il paesaggio interiore, come un tempo usava dire, ed è quello d'un uomo che sa abitualmente separarsi, quale vigile e impassibile spirito, dalla sua anima dominata e sorvegliata. Con partecipazione trepidante, tenera egli osserva ogni evento, ogni spettacolo esterno, per cavarne subito una metafora, un simbolo dell'invisibile: una parabola. Questa ricchezza e altezza interiori testimoniano meglio d'ogni documento storico, d'una vita austera e caritatevole. Così Gregori descrive la sua traversata del Mar Nero:

«Come parlerò della bonaccia? Lasciata Odessa, sul Mar Nero c'era una gran quiete e l'anima mia si fece tutt'uno col mare, si assopì nella quiete. Si vedevano le onde minute brillare come gocce d'oro e l'occhio non vedeva altro. Non è questo forse un esempio divino? Oh com'è preziosa l'anima dell'uomo; certamente è simile ad un gioiello. E proprio come il mare è la sconfinata potenza dell'anima Quando ti alzi la mattina, le onde parlano, spruzzano, gioiscono. Il sole risplende levandosi piano piano sopra il mare e l'anima dimentica l'iniquità del mondo contemplando il sole scintillante. E dentro nasce una grande felicità, l'anima medita sul libro della vita, sulla sapienza della vita, ineffabilmente bella. Il mare ridesta dal sonno delle cose mondane.

[...]

Se i flutti balzano in alto, l'anima s'inquieta, l'uomo si turba, e si aggira per il bastimento come smarrito dentro una nebbia. Ma questa sventura ci potrebbe capitare anche in terraferma, soltanto che lì non ce ne rendiamo conto, non sentendo il flutto che ci fa andare su e giù. In mare tutti vedono la sventura che in terraferma rimane nascosta agli occhi, allorché il diavolo ci trascina e la coscienza è tutta un fluttuare su e giù. Se anche i flutti del mare non esistessero, pure si solleverebbero e si abbasserebbero i flutti dentro di noi».


La grafia di queste lettere è rustica ma armoniosa a suo modo, l'arco delle curve è quello della schiettezza e della generosità, della celebre generosità di Grigori. Se si prova a ricalcare la sua scrittura, a rifarla e se così muovendo il nostro polso con l'esatta cadenza del suo, ci porremo in ascolto di ciò che dentro di noi così, a quel ritmo, si desta, avremo l'impressione dapprima come di una buia, calma, silenziosa profondità e poi di un affiorare in essa di calde successive ondate d'una forza psichica immane. Questa grafia traccia quelle pagine soavi che si sono citate. Di questo contemplativo che con l'orazione sanava i malati, liberava gli ossessi, largiva parole di pace e di buongoverno ai potenti, si osò fare un mostro assatanato. Che la sua grazia ritorni visibile agli onesti.

giovedì 26 gennaio 2017

Ramana Maharshi. Un saggio dell'età dell'oro


Per coloro che la volessero stampare, una breve biografia di Ramana Maharishi ad opera di Pietro Mancuso

PDF DELLA BIOGRAFIA

FONTE

La mucca Laksmi che raggiunse la Liberazione

Il divieto di interesse nell'Islam

DOMANDE E RISPOSTE 


Di Imran Hossein


Traduzione di Red Shaytan

dal libro "The prohibition of the riba in the Quran and Sunnah" di Imran Hossein
scaricabile qui.

Surah Al Baqarah Versi 275-281, dove viene proibita l'usura


DOMANDAE' permesso a un musulmano mettere il suo denaro in un conto di risparmio o in un deposito a tasso fisso in una banca?

RISPOSTANo! Questo potrebbe portare a un aumento che potrebbe rappresentare un interesse o riba. E Allah, l'Altissimo e il Profeta hanno proibito ai musulmani l'utilizzo del riba.

DOMANDAE' proibito a un musulmano pagare un interesse (riba)?

RISPOSTASì! Si tratti di interessi su un prestito per comprare una casa, un auto, per pagare gli studi, o di interessi su una carta di credito, ai musulmani è proibito pagare interessi. Il Profeta ha sanzionato tutti e quattro e ha detto che sono ugualmente colpevoli, chi ha accettato il riba, chi ha pagato il riba, chi ha registrato la transazione e i due testimoni. Egli ha detto che tutti sono colpevoli in misura eguale.

DOMANDASe un musulmano ha già contratto un riba per l'acquisto di una casa, cosa può fare per obbedire ad Allah l'Altissimo e al Suo Profeta?

RISPOSTAEgli può vendere la casa ed estinguere il debito con la banca. Egli quindi può vivere in una proprietà affittata fino a quando possa affrontare l'acquisto di una casa con contanti. Se le case sono care e non può affrontarne l'acquisto, può seguire la Sunnah e accontentarsi di vivere in una casa più piccola o in un appartamento che può essere costruito o acquistato senza avere debiti.
O può attivarsi per attrarre un numero sufficiente di investitori che potrebbero mettere il denaro con cui pagare la banca. Se il valore di mercato della casa fosse di 100.000 $, gli investitori che saldano la banca avrebbero il 50% di proprietà della casa e a lui resterebbe l'altro 50%. Egli potrebbe quindi affittare la casa dalla società che ora possiede la casa). Se egli affitta per 1.000 $ al mese, gli ritornerebbero 500 $ al mese come quota di ritorno dell'investimento. Egli poi potrebbe stipulare un secondo contratto per acquistare dagli investitori la metà della proprietà secondo un piano di pagamenti scaglionati e concordati che risultino agevoli per le parti. Ogni anno, comunque, ci sarebbe una nuova valutazione del valore della proprietà. Quando egli avrà acquistato l'intera metà dei suoi soci, sarà il solo proprietario della casa.

DOMANDA: Può un musulmano investire nel mercato azionario?

RISPOSTAPrima di tutto cos'è una quota azionaria? Una quota azionaria è una parte di una società. se tu compri una quota azionaria di una società, diventi proprietario di una parte della società. Ora tu hai titolo per condividere sia i profitti che le perdite della società. Gli investitori guadagnano pagamenti dai dividendi dalle loro azioni. Essi possono realizzare un profitto vendendo le loro azioni a un prezzo maggiore di quando le avevano acquistate.

Il mercato azionario nel libero mercato è una valida e legittima istituzione economica, ma il libero mercato nel mondo di oggi non esiste più da lungo tempo. il mercato azionario nell'economia capitalista è permeato dal riba; infatti è un cortile di giocatori d'azzardo e di ladri. La speculazione è la forza dominante nel mercato azionario d'oggigiorno. E le transazioni speculative rappresentano riba. Cos'è una transazione speculativa? E' una transazione in cui uno compra prevedendo la probabile salita dei prezzi. Se accade questo, egli vende realizzando un profitto. Ci possono essere transazioni in cui uno vende prevedendo la discesa dei prezzi. Quando i prezzi discendono, uno ricompra quello che aveva venduto e così realizza un profitto. Le transazioni speculative non sono diverse dal gioco d'azzardo. Un musulmano deve piuttosto investire nella propria impresa, o in mancanza di questa, deve investire in affari halal posseduti o gestiti da un singolo o da un gruppo di persone che sino oneste e che abbiano fiuto per gli affari. 
Il mercato azionario di oggi opera in base all'accesso all'informazione. Chiunque ottenga per primo delle informazioni può sfruttare tale conoscenza e fare soldi. Così una delle chiavi per dei guadagni cospicui nel mercato azionario, è l'accesso tempestivo alle informazioni. L'accesso alle informazioni è comunemente ottenuto ottenuto grazie al raggiro e alla mafia. Così questo diventa spionaggio. Le informazioni confidenziali da fonti governative talvolta sono ottenute tramite quid pro quo per contributi a campagne politiche fatti durante le elezioni. Quegli investitori onesti che non hanno accesso alle informazioni confidenziali e alle informazioni riservate non hanno alcuna possibilità di successo nel mercato azionario che così può operare nell'inganno e per di più nel riba!

DOMANDAUn musulmano può usare una carta di credito?

RISPOSTAUna carta di credito è una carta che permette al suo possessore di disporre di un certo ammontare per un periodo di tempo (generalmente un mese). Se questo debito viene ripagato nel periodo di tempo stabilito, il debito potrebbe essere senza interessi. Se, d'altro canto, il debito non viene ripagato nel tempo prestabilito, interessi (riba) sono caricati sul debito. Ad un musulmano è proibito pagare interessi  e così per un musulmano che paghi tutti i debiti della sua carta di credito a tempo che non debba mai pagare interessi, si può arguire che egli non abbia violato la legge usando la carta di credito. Comunque bisogna considerare il fatto seguente:il contratto con cui uno acquista una carta di credito è un contratto che prevede provvigioni per il riba. Un accordo del genere è haram per un musulmano. In questo modo stipulando questo contratto se ne stipula uno che comprende il riba.
un musulmano può accettare del credito a condizione che se non restituirà alla scadenza prevista, il musulmano sia obbligato a bere un bicchiere di whisky? No! Un musulmano può accettare del credito a condizione che se non restituisce alla scadenza prevista, il creditore avrà il diritto di dormire con sua moglie? No! Bene, quindi come può un musulmano accettare credito che se non può restituirlo alla scadenza prevista, sia costretto a pagare il riba?
Secondo, qualsiasi cosa conduca all'haram è haram di per sé stessa. Per una persona che possa dimostrare responsabilità finanziaria nell'estinguere tutti i debiti della carta di credito alla scadenza, ce ne saranno 99 che non lo faranno e che ricadranno direttamente nel pagare il riba. Per accettare una possibilità del genere si dovrebbe adottare il principio di vita di "ogni uomo pensi a sé e gli altri vadano al diavolo!". Ad un musulmano è proibito vivere una vita del genere.


DOMANDA: Un musulmano può aprire un conto corrente in banca?

RISPOSTANella mia opinione, sì! I conti correnti normalmente non fruttano interessi. E' possibile, del resto, esserne sicuri con una banca. Non si può, comunque, mantenere un deposito mensile medio su un conto corrente più grande dell'importo necessario per azzerare ogni prelievo che possa essere fatto nel mese. Ci sono 2 ragioni per questo: la prima, la banca può prestare il vostro denaro con interessi e così tu daresti il tuo contributo (che potresti evitare) al mantenimento del sistema del riba bancario; la seconda, il denaro cartaceo rappresenta riba e collasserà in un giorno secondo la profezia del Profeta. I musulmani dovranno fare ogni passo possibile per proteggersi da questo crash. Un modo per farlo è quello di conservare la minima quantità possibile di valuta in danaro cartaceo. Spero che sarà possibile un giorno usare oro e argento coniati. Quando questo sarà fatto, la valuta sarà immagazzinata in dinari e dirham. Quando avverrà il crash, i risparmiatori in dinari e dirham non subiranno perdite!

DOMANDAUn musulmano può disfarsi del denaro proveniente dal riba, dandolo in carità?

RISPOSTANo! Quello che è haram per un musulmano è anche haram per suo fratello

DOMANDA Si può dare il danaro del riba quando la donazione viene fatta per il masjid?

RISPOSTANo! Neanche gli arabi pagani che adoravano gli idoli avrebbero accettato il danaro del riba per il masjid al-haram (quando fu ricostruita la ka'ba prima della chiamata dell'Islam).

DOMANDAAllora, se il danaro del riba non può essere usato per alcun beneficio personale e  non può essere dato in carità, cosa dobbiamo farne?

RISPOSTAQui c'è la mia risposta a una lettera sull'argomento che ricevetti da una sorella musulmana che aveva fatto un investimento prima di entrare nell'Islam e che aveva qualche guadagno da esso. Voleva sapere se il danaro che ella aveva fatto fosse riba e nel caso, cosa dovesse farne:

Cara sorella...

Grazie per la vostra lettera. Il mio cuore è riscaldato quando trovo timore di Allah come è rivelato nella vostra lettera. Sono anche felice che il libretto sull'Importanza della Proibizione del Riba nell'Islam" possa aver provocato un positivo sviluppo nella vostra vita, Alhamdu lillah!
Il vostro investimento è tale che, mentre l'ammontare del profitto può fluttuare, non vi è un corrispondente rischio di perdite. Una transazione del genere non è ba'i (affari o commercio). E' proprio riba! Voi siete coinvolta in un peccato molto grave e dovete immediatamente fare i passi necessari per venirne fuori. Se voi avete commesso il peccato in uno stato di ignoranza e avete immediatamente fatto i passi necessari per correggervi non appena ne siete venuta a conoscenza, avete adempiuto a uno dei requisiti per il perdono di Allah, vale a dire tauba.
Come disporre del danaro del riba che è stato accumulato tramite l'investimento? Per prima cosa, non può essere usato per il vostro vantaggio personale. Per seconda cosa, non può essere dato agli altri come carità poiché quello che haram per voi (riba), è haram per tutta l'umanità.
Forse la sola possibilità che si apre per voi (i.e. di disporre del danaro del riba), che aumenta la possibilità di essere perdonata da Allah, è la seguente:
I nemici di Allah stanno conducendo una guerra contro tutta l'umanità in generale e in particolare contro i musulmani, con il riba. In questo stato di guerra che ora esiste nella vita economica dell'umanità a causa del riba, si puòforse, è permesso usare il danaro del riba per combattere il riba!
Se accettate la nostra opinione, potete usare quel danaro del riba che è stato accumulato dal vostro investimento, per stampare libri sul riba da diffondere gratis. Quando la gente leggerà questi libri e farà sforzi per liberarsi dal gran peccato del riba, è possibile che Allah perdoni il vostro gran peccato dell'esservi immischiata con il riba. 
Allah sa cosa è giusto!
Questa è la mia opinione. E' anche l'opinione del mio fratello Shaikh, Imam Alfahim Jobe che ho consultato. Potremo aver ragione, potremo aver torto, solo Allah conosce tutto.
Rimango vostro fratello nell'Islam
I. N. H.

DOMANDAUn musulmano può partecipare a uno schema piramidale di marketing; ad esempio, tu commerci un bene per una società  e guadagni una commissione per ogni cliente che recluti? O il tuo masjid prende una commissione quando tu recluti un cliente?

RISPOSTA: Se il cliente è scelto sulla base dell'amicizia o a causa del suo senso di lealtà verso il suo masjid o Centro islamico, la decisione dell'affare del cliente concernente l'acquisto di un particolare bene (come la sottoscrizione al telefono con una società lontana) sarà fatta sulla base di considerazioni che non attengono per nulla al libero mercato.
Un bene dovrebbe competere sul mercato in una competizione leale e libera. Uno sfruttamento dei legami dell'amicizia o dell'amore per la religione di una persona come strategia di marketing, rappresenta una corruzione del leale e libero mercato. Questa strategia di marketing rappresenta così una forma di riba.
DOMANDAIl Profeta ha profetizzato il collasso del sistema monetario internazionale basato sulla carta, plastica ed elettronica. Noi oggi siamo avviluppati dal danaro cartaceo. Cosa possiamo fare?

RISPOSTALa soluzione reale sarà possibile solo quando il movimento islamico avrà preso il controllo di un territorio. Il governo islamico potrebbe intraprendere passi che porterebbero all'eliminazione del danaro cartaceo. Il governo islamico potrebbe introdurre una legislazione che darebbe corso legale ai dinari d'oro e ai dirham d'argento. Il governo islamico potrebbe istituire zecche che conierebbero monete d'oro e d'argento per la popolazione. Quando i dinari d'oro e i dirham d'argento avranno lo status di valuta legale, il risultato sarà che il lavoro non sarà più retribuito con moneta artificiale ma con moneta reale.
I beni, le proprietà, le proprietà immobiliari  e i servizi ora testimonieranno per i venditori che chiedono moneta reale per queste vendite.
L'introduzione dei dinari d'oro e dei dirham d'argento come valuta legale, risulterà in una continua caduta del valore del danaro cartaceo. Tanto più diminuirà e tanto più velocemente lo farà, più crescerà la percezione della gente della superiorità della moneta reale su quella artificiale. Probabilmente il danaro cartaceo collasserà da solo. Quando accadrà, la perdita più grande non sarà sostenuta dalle masse povere, ma dall'élite predatrice.
Fino a quell'epoca quando il danaro reale sarà reintrodotto come valuta legale, i musulmani dovranno proteggere i loro risparmi, convertendoli in monete di oro e argento invece che in danaro cartaceo.

Appunti su un trattato arabo di ginnologia

Dice il poeta arabo:
Eravamo, nella nostra compagnia, come le Pleiadi,E ci ha diviso il tempo, come le stelle dell’Orsa.

Ho conosciuto Alberto Pincherle nel 1915 (gruppo di studenti in tempo di guerra). Nei successivi cinquant’anni, sempre seguendo con amicizia e ammirazione la sua carriera di studioso, l’ho riveduto forse tre volte. Gratis­sima l’occasione di fargli sapere che lo ricordo e lo am­miro. Imbarazzante, per un piccolo coltivatore diretto di studi arabi e musulmani, la collaborazione a questo no­bile volume di omaggio. Ecco, comunque, qualche pagina sui ginn, esseri senza pretese, ai margini della storia del­le religioni.

Sarebbe offensivo spiegare all’erudito lettore chi sono i ginn. Il relativo articolo dell’Encyclopédie de l’Islam si trova s.v. djinn. Veniamo subito al trattato.

Secondo il gusto arabo dell’epoca, il titolo è in rima e biz­zarro: Kitāb ākām al-margiān fi aḥkām al-giānn, «Libro delle collinette di corallo[1] circa le norme che reggono i ginn» Ha 140 capitoli in 231 pagine[2] l’autore, ash-Shibl[3]. (Badr ed-Dīn Abu ‘Abdallāh Moḥammed ibn ‘Abdallāh, Damasco 712-1312 — Tripoli di Siria 769-1367) era un cadi hanafita.

L’opera è tarda e in gran parte di seconda mano, ma com­pilata coscienziosamente e ben documentata; può interessare per l’abbondanza delle notizie e delle citazioni e come tipico prodotto dell’islamismo medievale, come collezione di aneddoti fantastici, di ragionamenti strani e di particolari gustosi.

«Questo libro — dice Shibli — è nato da un dibattito sulla liceità dei matrimoni fra ginn ed esseri umani, che non raggiunse una conclusione perché non si erano chiariti prima questi punti: Esistono i ginn? Hanno corpi identificabili, e di che specie? Possiedono le qualità richieste per adempiere agli obblighi dell’islamismo? La missione di Maometto si rivolgeva anche a loro?»

Non si può dire che Shibli abbia detto l’ultima parola su questi ed altri problemi della ginnologia; sia attenendosi alla scienza musulmana, sia ricorrendo anche a quella occidentale, molti punti restano oscuri, perché i passi coranici sui ginn[4] for­mano un corpus incompleto e contraddittorio; il ḥadīth, illu­strandolo con oceani di narrazioni e notizie (spesso affascinanti) rende sempre più densa quella «nuvola nera» entro la quale (secondo un preteso testimonio oculare) il Profeta conferiva con i ginn. E gli etnologi hanno ancora molto da lavorare sulle eredità che i ginn hanno raccolto dalle popolazioni diventate musulmane.

Torniamo alle collinette di corallo; per dare un’idea dell’opera potrà bastare il riassunto dei primi venticinque capitoli.

1. Esistono i ginn? – È comprensibile che gli zanādīq e molti dei falāsifah lo neghino, ma l’esistenza dei ginn non ripugna la ragione e il Corano la conferma in modo irrecusabile. Stranamente, alcune sette musulmane (qadariti, mu’taziliti, giaḥmiyyah) dubitano o negano[5].

Poiché ginn viene da gianna (essere nascosto, coperto)[6] «possono considerarsi ginn anche gli angeli ed altri esseri nascosti ai nostri sguardi». I diavoli (shayāṭīn) sono ginn cattivi (Corano, XXXVII, 7).

2. Creazione dei ginn e ribellione di Satana. – I ginn furono creati prima di Adamo, inferiori agli angeli come la terra è inferiore al cielo. Ginn ribelli uccisero il profeta Yūsuf, inviato loro da Dio, e furono sconfitti ed esiliati «nelle isole del mare» da un esercito di ginn fedeli, guidato da Iblīs (Satana), il quale divenne loro sovrano e fu poi ribelle a Dio, come narra il Corano. Secondo az-Zamakhshari (da Abu Hurairah!) gli angeli sono i 900/1000 degli esseri creati, i diavoli i 90/1000, i ginn i 9/1000 e gli uomini l’1/1000. Novanta diavoli e nove ginn per ogni uomo…

3 e 4. Natura del corpo dei ginn. – I ginn furono creati di fuoco, come gli uomini di terra. Difficoltà di spiegare come un organismo vivente possa essere fatto di fuoco. Conclusione: come l’uomo, tratto dalla terra, è di carne, così il ginn, tratto dal fuoco, è di una materia sui generis, diversa dal fuoco. Conferma: il Profeta, disturbato nella sua preghiera da un ginn cattivo, lo prese per il collo, e poté constatare che la sua saliva era fredda.

5. Varie specie di ginn. – Dice Maometto (ḥadīth): «Dio creò i ginn di tre specie: 1. Serpi, scorpioni, insetti e uccelletti. 2. Simili al vento. 3. Soggetti alla resa dei conti ed ai castighi[7]. E creò gli uomini di tre specie: 1. Simili alle bestie (e cita il Corano, VII, 178). 2. Con il corpo dei figli di Adamo e lo spirito di demonii. 3. Uomini «che staranno all’ombra di Dio, nel giorno in cui l’unica ombra sarà la Sua».

6. Trasformazioni dei ginn in vari aspetti. – Indubbia­mente i ginn assumono la forma di animali (serpenti, scorpioni, cammelli, bovini, ovini, cavalli, asini, muli, uccelli) ed anche di uomini. In due punti del Corano (VIII, 30 e 48) si allude a diavoli che presero aspetto umano per nuocere al Profeta.

Né diavoli né angeli hanno il potere di cambiare la forma in cui furono creati, però Dio può insegnare loro atti e parole che hanno la virtù di ottenere da Lui tali metamorfosi (caso di Satana trasformato in un medinese, e di Gabriele che as­sunse forma umana per dare l’Annuncio a Maria). I ghūl sono «i maghi dei ginn»; non si trasformano ma producono, per effetto di magia, l’illusione di un aspetto diverso da quello vero. Per metterli in fuga è efficace intonare la chiamata alla preghiera rituale.

È opinione accettabile dei mu’taziliti che i corpi dei ginn sono di materia sottile e perciò invisibili, e che Dio li rende consistenti, robusti e visibili durante la vita dei Profeti; lo con­ferma l’autorità di Salomone sui ginn, che facevano per lui lavori pesanti (Corano, XXXIV, 12-14). All’infuori delle epoche profetiche i ginn sono invisibili; diceva perciò giustamente l’Imām ash-Shāfi’i: «Non accettiamo in giudizio la testimonianza di quelli che affermano di vedere i ginn».
Considerazioni sulla forma di angeli, diavoli ed esseri umani.

7. Alcuni cani sono ginn. – Il Profeta avrebbe detto: «Se non fosse che i cani sono una nazione ordinerei di ucciderli, ma ho paura di distruggere una nazione[8]; uccidete dunque soltanto i cani neri, sono (sicuramente) dei ginn». Aggiungeva «Se un cane nero passa davanti al musulmano che compie la preghiera rituale, la rende invalida, perché è un diavolo» (non così i cani rossi e gialli). Anche il gatto nero è un ginn, «per­ché la nerezza raduna le forze sataniche», ed anche il cam­mello. Ma c’è chi precisa: questi animali non sono ginn, somi­gliano ai ginn, infatti «un animale nato da animali, come po­trebbe essere altro che un animale?».

8-9. Le sedi dei ginn. – In seguito ad un arbitrato di Mao­metto fra ginn pagani e musulmani, questi ultimi abitano nei villaggi e nei monti, i primi nelle grotte. Sui tetti delle case vi sono ginn musulmani, che scendono a mangiare con le fami­glie. Per impedire ai diavoli di passare la notte nelle case, bisogna invocare il nome di Dio rientrando in casa e metten­dosi a tavola.

Le latrine sono particolarmente frequentate dai ginn (gia­culatorie da pronunciarsi entrandovi, precetto di nascondere ai ginn le proprie nudità). Sono convegno di ginn tutti i luoghi impuri, dove non è permesso compiere la preghiera rituale: ci­miteri, concerie, letamai, quadrivi, bagni pubblici. «Anche gli eretici frequentano questi posti, per ricevervi comunicazioni dia­boliche».

10. Il ginn compagno. – Si veda il Corano, VI, 112. Ḥadīth «Ognuno di voi ha due compagni, un angelo e un ginn». Domandarono al Profeta: «Anche tu hai il tuo ginn?». Rispose «Sì, senonchéDio mi ha aiutato contro di lui: quel ginn si è fatto musulmano e non mi comanda più altro che il bene». E avrebbe aggiunto «Sono stato privilegiato in con­fronto di Adamo, in due cose: il mio diavolo miscredente si è fatto musulmano, e le mie mogli mi hanno assistito, non tra­dito»[9].

D’altra parte vi sono orazioni da recitare prima di addor­mentarsi, per chiedere a Dio protezione contro il proprio dia­volo; risalgono a Maometto. Shibli spiega che il Profeta evi­dentemente le pronunciava prima della conversione del suo diavolo.

11-13. Mangiano e bevono i ginn? – Vi sono tre opinioni: 1. Nessun ginn mangia e beve. 2. Alcuni ginn mangiano e bevono; i « ginn puri » (i vènti) non mangiano, non bevono e non procreano. 3. Tutti i ginn mangiano e bevono. Altro que­sito: si nutrono soltanto dell’odore e dei fumi degli alimenti, o «masticano e inghiottono»? Quest’ultima opinione è confer­mata da un ḥadīth: un uomo mangia senza aver detto «in nome di Dio!» prima di cominciare. Se ne ricorda all’ultimo boc­cone, e il Profeta afferma «Finora un ginn cattivo ha mangiato con te una parte del tuo pranzo; quando hai detto “in nome di Dio” l’ha dovuto rigettare».

Che cosa mangiano i ginn? Dice un ḥadīth che «i ginn chiesero al Profeta di assegnare loro un alimento, e furono con­cesse loro “le ossa su cui è stato pronunciato il nome di Dio” (cioè ossa degli animali uccisi ritualmente), e per le loro ca­valcature il letame dei quadrupedi. A favore dei ginn le ossa spolpate si rivestono di carne e il letame diventa foraggio fre­sco. Il Profeta ha proibito ai musulmani di adoperare questa roba per usi sudici, dicendo “Sono gli alimenti dei vostri fra­telli, i ginn”».

14. I ginn contraggono matrimonio e generano. – Dice in­fatti il Corano (LV, 56 e 74) che le Hur, spose dei beati in Paradiso, non furono «mai toccate, prima di loro, da uomini o da ginn», e parlando di «Iblīs, uno dei ginn» Dio dice «pren­derete dunque lui e la sua progenie come protettori, invece di Me?» (Cor., XVIII, 50). Opinione del cadi ‘Abd al-Giabbār (chi era costui?): «Come animali minutissimi, quasi invisibili, generano esseri altrettanto minuti, così la sottigliezza dei ginn non impedisce loro di generare». E Shibli conclude «Sia glo­rificato l’Onnipotente: quando vuole una cosa dice sii, ed è».

15-18. I ginn sono mukallaf? La missione di Maometto è destinata anche a loro? – La piena responsabilità dei ginn ri­sulta chiaramente dal Corano, che descrive la loro conversione all’islamismo, minaccia loro i castighi prescritti per chi viola «i comandamenti e i divieti» islamici, e accomuna uomini e ginn nella famosa Sura del Misericordioso (LV) ove Dio si rivolge ad ambedue indistintamente, usando la forma duale. Se­condo Ibn ‘Aqīl «la parola uomini comprende anche i ginn».

Prima di Maometto i ginn ebbero almeno un profeta della loro nazione (si veda il capitolo 2 di Shibli, citato qui sopra, e il Corano, VI, 130). Ma nessun profeta fu mandato ad uomini e ginn insieme, prima di Maometto, il quale convertì una parte dei ginn, diventati poi «ammonitori» dei loro fratelli, per in­vitarli all’islam.

Il detto del Profeta «Fui inviato ai neri e ai rossi» è per solito interpretato «agli arabi e ai greci» (dal colore dei ca­pelli), alcuni però intendono «agli uomini ed ai ginn»; que­sti ultimi sono «i neri» perché somigliano agli spiriti (al-arwāḥ) detti neri (aswadah).

Aneddoto su Corano, LXXII, 6: «alcuni della razza degli uomini si rifugiarono presso alcuni della razza dei ginn» e discussione sulle circostanze e l’epoca dei successivi incontri di Maometto con i ginn e sull’azione dei ginn convertiti per dif­fondere l’islam presso la loro gente. Numero dei ginn in rela­zione diretta con Maometto (sette, nove, dodicimila), loro pro­venienza (Ḥarrān, Nisibi).

Leggende sulla morte di ginn che avevano conosciuto il Profeta; eccone un saggio: ‘Omar ibn ‘Abd al-‘Azīz[10] trova un serpente morto (variante, un ginn morto) lo avvolge in un lembo del suo mantello e lo seppellisce. Una voce di persona invisibile lo informa che quel serpente è uno dei ginn i quali udirono il Corano da Maometto e che egli stesso è l’ultimo su­perstite di quel gruppo. Altro racconto: il narratore (anonimo) assiste al conflitto di due violentissimi venti, provenienti da direzioni opposte, che si disperdono dopo il conflitto, lasciando sul terreno un’enorme quantità di serpi. Nota una serpicina gialla che esala un soave profumo; «pensando che dev’essere buona» la avvolge nel suo turbante[11] e la seppellisce. Una voce di essere invisibile[12] lo informa che vi è stata battaglia fra ginn figli di Satana e ginn dei Banu Qays[13], la serpicina «caduta martire» è uno dei ginn che udirono il Corano dal Profeta.

19. Particolari sull’incontro di Maometto con i ginn. – az-Zubair ibn al-‘Awwām, e specialmente ‘Abdallāh ibn Mas‘ūd, raccontano di aver accompagnato Maometto al luogo del con­vegno con i ginn. ‘Abdallāh non vide e non udì niente, perché il colloquio avvenne nel centro di una densa nuvola nera, men­tre lo spettatore era fermo sopra una linea o dentro un cerchio, che il Profeta aveva tracciato per terra, vietandogli di uscirne. Contro la testimonianza del Corano, questi ḥadīth dicono che il Profeta ricevette ginn a Medina spesso (da sei a trenta volte); è evidente il parallelo con la lunga serie delle delegazioni di tribù e popolazioni d’Arabia, venute a Medina dopo la presa della Mecca. Quei ginn erano «uomini neri vestiti di bianco», «uomini alti come lance».

20. Ginn di varie religioni e sette. – In base al Corano, LXXII, 11 e 14: «Fra noi vi sono buoni e cattivi, siamo anche noi compagnie svariate, … chi si è dato a Dio e chi da Dio si allontana», si afferma che i ginn sono sunniti ed eretici, cada­riti, murgiti, cristiani ed ebrei (cfr. Corano, XLVI, 30, ove i ginn diventati missionari dell’islam presso i loro fratelli par­lano di «un Libro rivelato dopo quello di Mosé, a conferma delle Scritture precedenti», quasi rivolgendosi a ebrei e a cri­stiani).

21. Ginn che partecipano alle devozioni umane. – Un de­voto pregava di notte insieme ai «ginn di casa», che ascolta­vano la sua recitazione del Corano.

22-25. Se i ginn vadano in Paradiso. – Che i ginn cattivi vanno all’Inferno è nettamente affermato dal Corano. Circa il premio dei ginn musulmani nella vita futura, grande varietà di opinioni; alcuni credono che vadano in Paradiso come gli altri musulmani, la tesi opposta è che la loro ricompensa con­sista soltanto nello scampare all’Inferno, «diventano terra co­me gli animali» (Abu Ḥanīfah). Oppure sono ammessi in Pa­radiso, ma esclusi dai banchetti celesti; i beati vedono i ginn, ma non viceversa (rovesciamento delle rispettive posizioni in terra). Opinione moderata: esclusi dal Paradiso, i ginn sono col­locati in al-A‘rāf, il Limbo di quelli che «non sono ancora en­trati nel Giardino, pur desiderandolo ardentemente» (Cora­no, VII, 46 e 48). Finalmente c’è chi nega ai ginn in Paradiso la visione di Dio, riservata agli uomini in premio di «obbe­dienze» che neppure gli angeli conoscono: la guerra santa, la lotta contro le passioni, la paziente sopportazione dei dolori terreni.
In conclusione quasi tutti gli autori musulmani pensano che i poveri ginn, se ammessi in Paradiso, vi subiscono discri­minazioni, perché sono inferiori agli uomini.
***
Titoli dei capitoli 26-89.
26. Il ginn può dirigere la preghiera rituale. 27. Ancora le relazioni di Maometto con i ginn. 28. Stesso argomento del capitolo 2. 29. Norme giuridiche per il caso che un essere umano uccida un ginn. 30-34. Il matrimonio fra ginn ed esseri umani e gli amori dei ginn con le donne. 35. Posizione della mo­glie di un uomo rapito dai ginn. 36. È vietato mangiare ani­mali macellati per un ginn o invocando il suo nome. 37-38. Ginn trasmettitori di ḥadīth a studiosi di scienze musulmane. 39-41. I ginn consolano gli afflitti, danno massime e sentenze, ispirano poeti, insegnano agli uomini la medicina. 42. Una vertenza giu­diziaria fra ginn e uomini. 43. Ginn e uomini hanno paura gli uni degli altri. 44. I ginn e Salomone. 45-47. Malefatte dei ginn e modo di difendersi da loro. 48. Ginn, diavoli e magia. 49. I ginn contraccambiano agli uomini il bene e il male. 50­-56. Malattie causate dai ginn. 57. I ginn e il malocchio. 58. Con­flitto di un Compagno del Profeta con un diavolo. 59. Diavoli e ginn maligni incatenati durante il Ramaḍān. 60. Le gazzelle sono le cavalcature dei ginn. 61. Uomini adoratori di ginn (Co­rano, XVII, 57). 62. Se sia lecito riferire i discorsi dei ginn. 63. I ginn spiano i segreti celesti. 64-67. Notizie portate da ginn durante la vita di Maometto. 68. È lecito interrogare i ginn sul passato? 69. I ginn e i muézzin. 70-82. I ginn annun­ciano le morti e fanno lamentazioni funebri. 83. Durata della vita di ginn e diavoli. 84-86. Questioni relative a Satana. 87-89. Corano, CXIV.
I capitoli 90-140. trattano unicamente di Satana, astraen­do dalla sua qualità di ginn. Li segnaliamo ai demonologi.


[1] Shibli cita spesso un’opera intitolata La Collana di Corallo (‘Iqd al-margiān) di al-Burhān al-Ḥalabi; potrebbe essere un’altra opera di ginnologia, e avergli suggerito il titolo del suo trattato.

[2] L’edizione di cui disponiamo è del Cairo, Maṭ. as-Sa‘ādah, 1326 (1908-9), pp. 8+231.

[3] Niente a che fare col notomistico; il nome viene da ash-Shibliyyah, moschea alla periferia di Damasco, dicui suo padre era amministratore. Si veda C. Brockelmann, Gesch. der Arab. Litt., II, 75 e Suppl., II, 82.

[4] Sarà bene citarli tutti, in ordine cronologico, seguendo la numerazione della traduzione di A. Bausani (Firenze 1955), che è quella del «Corano di Fu’ād» (Cairo 1345/1926-27). Si noti che a Medina non c’è più nessun ginn nel Corano (La Sūrat ar-Raḥmān, medinese per la tradizione musulmana, sa­rebbe del secondo periodo meccano, cfr. trad. Bausani, nota a Cor. Cap. LV).
Primo periodo meccano: LI, 56 (i ginn creati per adorare Dio); CXIV, 6, formula apotropaica contro i ginn.
Secondo periodo meccano: LV, 15 (ginn creati di fuoco); 33 (impotenti di fronte a Dio), 39 (i ginn nel Giorno del Giudizio); 56 e 74 (le Hur mai toccate da uomini e da ginn); XXXVII, 6-15 (i ginn spiano i segreti celesti); 158 (sono inferiori a Dio); XV, 16-18 (spiano i segreti celesti); 26 (creati di fuoco); 30-42 (ribellione di Satana); LXXII, 1-15 (predicazione di Maometto ai ginn); XVII, 88 (incapaci di inventare un Corano); XXVII, 10, 17, 39, 40 (soggetti a Salomone); XVIII, 50-51 (ribellione di Satana).
Terzo periodo meccano: XXXII, 13 (ginn dannati); XLI, 25 (idem); XXVIII, 31 (la verga di Mosè si agita «come i ginn»); XXXIV, 12-14 (lavo­rano per Salomone); 41 (gli adoratori dei ginn); XLVI, 18 (dannati); 29-32 (convertiti all’islam da Maometto; cfr. LXXII, 1-15); VII, 38 e 179 (dannati); VI, 100 (adorati insieme a Dio); 112 (nemici dei profeti); 128 (dannati); 130 (refrattari alla fede).
Versetti in cui Maometto (e in quattro casi altri profeti) è definito «suc­cube del ginn», cioè pazzo: VII, 184; XV, 6; XXIII, 25 e 70; XXVI, 27 (Mosè); XXXIV, 46; XXXVII, 36; XLIV, 14; LI, 39 (Mosè) e 52 (profeti in generale); LII, 29; LIV, 9 (Noè); LXVIII, 51; LXXXI, 22.

[5] Vari commentatori musulmani moderni del Corano propongono nuove interpretazioni dei ginn. Evasive, come quella degli Aḥmadiyyah di Lahore, «una comunità non identificabile», o pseudo-scientifiche: i ginn sarebbero i microbi.

[6] Si veda A.J. Wensinck, The Etymology of the Arabic djinn, citato nella bibliogr. dei suoi Semietische Studiën, Leida 1941.

[7] Cioè esseri responsabili, mukallaf. Forse quelli che possono assumere forma umana?

[8] Ummah; dice Bausani (trad. del Corano, p. 521, nota al v. 104): «La nazione in senso coranico è una comunità, oggetto di un piano divino, fondata e guidata da un Messaggero di Dio». Si veda anche, per le nazioni di ani­mali, ivi, p. 541, nota al v. 38.

[9] Maometto non potrebbe aver detto questo: nel Corano Eva (mai ricor­data per nome) non fu tentata da Satana per prima, né fu tentatrice del marito.

[10] Califfo ommiade, m. 101/720. L’aneddoto dimostra la longevità dei ginn.

[11] Spesso i turbanti erano lunghi sette volte un giro di testa, misura sufficiente da servire da sudario.

[12] Queste voci si chiamano hātif; la parola è passata nell’arabo letterario moderno a indicare il telefono.

[13] Nota tribù; era certamente un ginn la serpe della tribù di Azd ricor­data da Tabari; si veda Meloni, Saggi di Filologia semitica, p. 234.


Trattati sull’Ordine dei Fedeli d’Amore



«Senza il soffio del vento per sollevare i riccioli dei tuoi capelli – Chi potrebbe mostrare all’amante il volto dell’amata?» Sohravardî

«L’immagine di Dio è la vergine maschile, non l’uomo o la donna» Jacob Boehme

Introduzione:
L’ordine iniziatico dei Fedeli d’Amore è scomparso in Occidente, dalla fine del Medio Evo, vuoi perché i suoi membri abbiano scelto d’emigrare nei Paesi del Medio Oriente, in Siria o in Egitto, vuoi perché il loro piccolo numero abbia alla fine scelto la clandestinità più rigorosa.

Esistono comunque delle prove che si è semplicemente “nascosto” e che resta vivo in Occidente persino fino ai nostri giorni. Naturalmente l’Ordine non esiste più in quanto ordine – perché, dal Medio Evo in poi, non si tratta che di casi isolati, di esperienze individuali. Ma ci si può interrogare su cosa significhi essere un fedele d’amore, adesso che l’Ordine che li riuniva ha palesemente smesso di esistere. In altre parole, essere un fedele d’amore, significa ai nostri giorni l’appartenenza a un ordine costituito come tale, con la sua gerarchia, i suoi riti iniziatici, e il suo linguaggio segreto? René Guénon stesso mette in guardia contro questa confusione a proposito dei Rosa+Croce: «Il termine di Rosa-Croce è in senso proprio la designazione di un grado iniziatico effettivo, il cui possesso, evidentemente, non è necessariamente legato al fatto di appartenere a una specifica organizzazione definita». È lo stesso per ciò che concerne i fedeli d’amore.

Quando si parla della Fedeltà d’Amore bisogna dunque tenere ben presente, certamente un Ordine antico scomparso di cui sono noti alcuni rappresentanti che hanno lasciato delle opere letterarie: Dante, Cavalcanti, ma anche una via e un modo di realizzazione spirituale che alcuni individui, senza dubbio rari, hanno intrapreso dopo che si è «occultato», in condizioni d’altro canto tanto misteriose quanto lo erano all’epoca in cui quest’ordine esisteva: Novalis, Raffaello. Ciò che distingue, in effetti, l’Ordine dei Fedeli d’Amore è la sua disciplina dell’Arcano, il suo “segreto”, il che spiega perché i suoi membri hanno lasciato così poche tracce; tranne naturalmente l’opera intera di Dante, - ma bisogna comunque penetrarne i misteri. Anche su questo punto René Guénon faceva notare che il nostro tempo, per quanto oscuro esso sia in questa fine di kali yuga, e per quanto poco propizio alla conoscenza esoterica, ne permette tuttavia un apprendimento migliore.

Storia dei Fedeli d’Amore
Vi fu un tempo, in Occidente, nel quale l’Ordine dei Fedeli d’Amore esisteva come organizzazione iniziatica, e questo tempo resta legato alla storia delle Crociate. Se si vuole ben considerare, secondo René Guénon, che questa epoca ha prodotto «attivi scambi intellettuali tra l’Oriente e l’Occidente», se ne concluderà che l’iniziazione dei fedeli d’amore li rendeva atti a entrare in relazione con i Fedeli d’Amore d’Oriente. La causa del fatto che tali scambi si siano interrotti per molti secoli è la “degenerazione” dell’Occidente in materia di esoterismo. In compenso il ventesimo secolo ha permesso l’accesso a testi di autori orientali che erano restati inediti in Occidente. La loro esistenza favorisce adesso una migliore conoscenza della Fedeltà d’Amore, che è fondamentalmente d’Oriente e d’Occidente. Ciò significa che l’iniziazione all’ordine dei Fedeli d’Amore sarebbe diventata possibile? Sarebbe disconoscere la natura stessa dell’iniziazione – che è trasmissione – il fatto di credere ciò, e tuttavia René Guénon stesso faceva notare, alla fine del suo Re del Mondo, che «nelle circostanze in mezzo alle quali viviamo adesso, gli avvenimenti si svolgono con una tale rapidità che molte cose i cui motivi non appaiano ancora nell’immediato potrebbero ben trovare, e anche più di quanto si sarebbe tentati di credere, delle applicazioni molto impreviste, se non addirittura imprevedibili.»

D'Oriente e d'Occidente
La storia della Fedeltà d’Amore in Occidente non si ferma con la scomparsa o piuttosto con l’occultazione dell’Ordine dei Fedeli d’Amore. Qui bisogna intendere la parola «Occidente» nel modo in cui ne parla René Guénon in Oriente e Occidente, per esempio, come di spazio geografico, di tradizione cristiana in confronto a un «Oriente» che è di tradizione semitica, musulmana o ebrea. È d’altro canto ciò che spiega come Henry Corbin ne abbia seguito la traccia in direzione di Ibn ‘Arabî, dei teosofi e dei poeti persiani, come Rûzbehân Baqlî, Hâfez o ancora Fakhr ‘Erâqî. Ma la tradizione dei Fedeli d’Amore è anche una tradizione occidentale, nel senso che essa concerne le tre religioni monoteiste, “abramitiche”, o piuttosto i loro esoterismi rispettivi che sono la Cabala, tradizione ebraica, l’esoterismo islamico e l’esoterismo cristiano. Julius Evola e René Guénon sostengono che essa ha il suo equivalente in Estremo Oriente, specialmente in India.

Comunque sia, la storia dei Fedeli d’Amore s’intende in Occidente al di là del termine stabilito da René Guénon – che cita anche Boccaccio e Petrarca, dopo Dante e i Fedeli d’amore. Perciò conviene qui evocare gli “anelli mancanti della catena” che fanno durare questa storia fino ai nostri giorni. Poco importa che si chiamino ai nostri giorni col nome di Fede e Amore, in riferimento a una raccolta di frammenti filosofici del poeta tedesco Novalis. Si iscrivono bene nella stessa linea spirituale che è quella dei Fedeli d’amore. Basterà citarne due, un poeta e un pittore, Novalis e Raffaello: «Il poeta romantico tedesco e il pittore italiano appartengono alla stessa genealogia spirituale, quella degli artisti visionari che sono stati iniziati alla Fedeltà d’Amore dall’apparizione provvidenziale, nelle loro vite, di un certo volto di bellezza, volto umano, come quello di Sofia per Novalis, che egli ha contemplato con gli occhi dell’anima, o immagine divina, quella della Vergine Maria, per Raffaello, che ne ricevette una notte la rivelazione.».

A questo proposito ritorna la stessa domanda: perché Henry Corbin non ne ha fatto menzione? Dato che esistono prove della loro appartenenza alla linea dei fedeli d’amore. È, per esempio, Wackenroder che riporta questa citazione da una lettera del pittore italiano al conte di Castiglione: «Siccome si vedono così poche belle forme femminili, io tengo nella mente una certa immagine che nasce nella mia anima.», o che trascrive qualche foglio di Bramante, a proposito della visione di un’Immagine della Vergine Maria sopravvenuta una notte a Raffaello. Bisognerebbe citare integralmente questo testo. Ma ci limitiamo a ciò: «la cosa più meravigliosa è che gli sembra che quest’immagine era proprio quella che aveva sempre cercato, sebbene non ne avesse avuto mai altro che un presentimento oscuro e confuso» e anche «l’apparizione era restata per sempre incisa nel suo cuore e nei suoi sensi, ed era riuscito quindi a riprodurre i tratti della Madre di Dio come se questi avessero fluttuato sempre davanti alla sua anima, e aveva sempre avuto un certo rispetto persino per le immagini che dipingeva». Se ci dovesse essere un dubbio riguardo alla presenza della Vergine Maria nell’esperienza iniziatica dei Fedeli d’Amore, si ricorderà con René Guénon che esistono numerosi simboli iniziatici della Madre di Gesù per i quali l’applicazione «è perfettamente giustificata per via dei rapporti della Vergine con la Sapienza e la Shekinah».

Quanto a Novalis, qualche estratto del dialogo di Enrico e Matilde, nel suo unico romanzo incompiuto, Enrico di Ofterdingen (1801), permetteranno di comprendere perché è considerato il rappresentante più puro della tradizione occidentale della Fedeltà d’Amore:

«Tu sei la santa che presenta le mie richieste a Dio, l’intermediaria attraverso la quale Lui si rivela a me, l’angelo col quale mi fa conoscere la pienezza del Suo amore. Cos’è la religione, se non un’intelligenza infinita, un’eterna comunione di cuori amanti? Dove due sono riuniti, Lui è in mezzo a loro. Ho di che respirare in te eternamente, e il mio petto non finirà mai di riempirsi di te. Tu sei il divino splendore, la vita eterna nell’involucro più adorabile».

«Se solo tu potessi vedere come mi appari, che irradiante immagine emana dal tuo corpo e viene a illuminare i miei sguardi dappertutto, non temeresti nessuna vecchiaia. La tua forma terrestre non è che un’ombra di quest’immagine; e certo le forze della terra lottano e si prodigano per concretizzarla, per confermarla, ma la natura non è ancora sufficientemente matura: l’immagine è l’archetipo eterno che partecipa al santo mondo sconosciuto».

In queste condizioni si può affermare che la genealogia spirituale dei fedeli d’amore, in Occidente, non si è mai interrotta, anche se non è più il caso di parlare qui di Ordine – e d’altro canto è mai esistito quest’Ordine come tale, non è stato piuttosto un’organizzazione iniziatica, nel senso in cui l’intendeva René Guénon? Che questa organizzazione resti sempre attiva, anche se invisibile, «occultata», non è per questo di meno che una certezza per alcuni. E ciò è quello che importa alla fine. Oltretutto la sua esistenza in Occidente è un segno manifesto dell’appartenenza, ai nostri giorni, dei Fedeli d’Amore d’Occidente a «un’élite spirituale comune ai tre rami della tradizione abramitica», la cui etica «ha origine alle stesse sorgenti e si situa alla stessa altezza d’orizzonte.».

A questo punto si pone un’ultima domanda:
«Riavvicinati in questa comunità di culto e di destino, i Fedeli d’Amore, quelli d’Occidente e quelli dell’Iran ci fanno meglio distinguere almeno l’ordito del cammino nel quale si sono tutti impegnati, mistici, poeti e filosofi. Si chiederà se il percorso della loro Via ha ancora un significato oltre quello storico, per le condizioni del nostro specifico presente storico?»
Henry Corbin nota che «Non c’è una risposta generale né un programma teorico che la possa fornire a questo genere di domanda.». Tuttavia esiste una risposta che è quella data dall’esistenza stessa della Fedeltà d’Amore, ai nostri giorni, in Occidente, di una tradizione che è restata viva e che è fondamentalmente una tradizione d’Oriente e d’Occidente.

L’esperienza spirituale dei Fedeli d’Amore
«Entra e fa della mia anima l’ostaggio del tuo amore, affinché la mia fede divenga perfetta» 

La chiamata
Finché il futuro iniziato rimane nel «mondo occidentale» non sa nulla del suo destino che verrà, se non forse dai presentimenti che avrà avuto durante l’infanzia – tale fu il caso di Rûzbehân Baqlî. Il suo orizzonte «orientale» è quindi oscurato, come per i suoi contemporanei, e non ha neanche coscienza della sua esistenza né quindi del suo «esilio» in questo mondo. È una circostanza particolare che permetterà al futuro iniziato di scoprire che esiste un oriente all’orizzonte del mondo dove vive, per esempio l’incontro con uno straniero che viene da paesi lontani, e le cui parole risvegliano un’eco misteriosa in lui. Fatto notevole, come dirà il giovane eroe dell’Enrico di Ofterdingen di Novalis: «Tutti gli altri l’hanno sentito e ascoltato molto bene, ma nessuno ha provato una simile emozione… Che sensazione stupefacente, - della quale non sono nemmeno capace di parlare.» Per ciò che concerne i fedeli d’amore questa chiamata prende generalmente le sembianze dell’amore umano – che diventa il punto di partenza dello sviluppo spirituale del futuro iniziato – è questo il caso del primo incontro con Beatrice, per Dante, e di quello con Sophie per Novalis. La chiamata viene quindi effettuata con l’intrusione nel quotidiano del «mondo occidentale» di qualcosa che proviene dall’orizzonte «orientale» del mondo visibile. Quando il futuro iniziato prende coscienza di questo orizzonte, si mette in cammino. Non ha ancora nessun maestro, ma ha la fede in ciò che ha sentito e capito della chiamata – ed è un movimento volontario – un’aspirazione dell’anima – che lo spinge a camminare in direzione di questo Oriente. Ma i pericoli sono notevoli e senza un maestro il cammino diventa rapidamente impraticabile. Può persino condurre a un disastro umano. Infatti, o chi si è messo in cammino rinuncia e ritorna nel «mondo occidentale» - così il padre di Enrico di Ofterdingen -, o persiste nella sua marcia ma a rischio della pazzia. L’esempio più caratteristico di un’iniziazione mancata alla Fedeltà d’Amore è senza dubbio quello dato dalla pazzia e dalla morte di Gérard de Nerval. Ci si riferisce ad Aurélia che rintraccia il cammino tragico del poeta e più specificatamente ai Memorabili: «O Morte! Dov’è la tua vittoria, posto che il Messia vincitore cavalcava tra noi due? Il suo vestito era di giacinto sulfureo, e i suoi polsi, così come le sue caviglie, brillavano di diamanti e di rubini. Quando il suo mantello leggero sfiorò la porta di madreperla della nuova Gerusalemme noi fummo tutti e tre inondati di luce. È allora che sono disceso tra gli uomini per annunciare la lieta novella.» Pertanto senza maestro è impossibile andare molto avanti verso l’Oriente. Per i fedeli d’amore del Medio Evo l’iniziazione sarebbe stata conferita da un maestro visibile, appartenente all’Ordine, ma i documenti mancano completamente, e se ci si tiene alle esperienze rispettive dei fedeli d’amore, sia in Occidente che in Oriente, si potrebbe dubitare dell’esistenza di una tale iniziazione. Dante evoca Amore, si sa che Novalis ricevette l’iniziazione dall’angelo di Sophie, Sohravardî s’inventa una genealogia spirituale, etc.

L’iniziazione
Esistono in Occidente dei maestri «invisibili», nel senso che hanno abbandonato la manifestazione terrestre, ma che, siccome hanno appartenuto effettivamente a questi ordini, sono qualificati a conferire l’iniziazione e a comunicare un’influenza spirituale. Naturalmente questi iniziati non sono in grado di conferire a loro volta un’iniziazione che hanno ricevuto in un modo speciale che riguardava solo loro.

Esistono in Oriente dei maestri visibili o invisibili che appartengono a genealogie spirituali «parenti» - che sono la causa del come nel Medio Evo gli ordini esoterici cristiani abbiano potuto entrare in relazione con gli ordini orientali.

C’è soprattutto un certo «incontro» dell’Oriente con l’Occidente, vissuto nel segreto del cuore, che autorizza l’iniziato a entrare in contatto col suo Maestro interiore e di conseguenza a progredire verso gli stati superiori dell’essere, per riprendere la terminologia di René Guénon. È così che è possibile conoscere il proprio Signore.

La Vita nova di Dante descrive molto precisamente le diverse tappe dell’iniziazione alla Fedeltà d’Amore e del "l’illuminazione" che dà accesso all’amore appassionato o di passione che è l’amore dei fedeli d’amore e che non bisogna confondere con l’amore passione dei romantici. L’amore appassionato dei fedeli d’amore non è evidentemente una fatalità. Il capitolo IX del Vademecum dei Fedeli d’Amore di Sohravardî ne dà un riassunto:

All’origine di ogni iniziazione all’Ordine dei Fedeli d’Amore si trova un’esperienza amorosa – che è il punto di partenza di uno sviluppo spirituale nel corso del quale l’amore diventerà un amore di passione. Ma questo sviluppo resta riservato a un piccolo numero: «Amore non apre a chiunque la via che conduce a lui». Come per ogni iniziazione l’essere che è stato preso ne deve manifestare le disposizioni. Ma dopo che l’Amore è venuto a constatare che vi sono le attitudini, «invia a lui Nostalgia che è la sua confidente e la sua delegata, affinché costui purifichi la sua dimora e non vi faccia entrare nessuno». Si tratta quindi di una prima tappa nello sviluppo personale dell’essere sinceramente preso che è quella dell’iniziazione. In seguito «bisogna che Amore faccia il giro della dimora e scenda fino alla cella del cuore. Distrugge alcune cose; ne costruisce delle altre; fa passare per tutte le varianti del comportamento amoroso». È al termine di questa seconda tappa che si produce «l’illuminazione» – che è ciò che simbolizza il Cuore gentile secondo Dante, cioè «il cuore purificato, dunque vuoto di tutto ciò che concerne gli oggetti esteriori, e per ciò stesso reso atto a ricevere l’illuminazione interiore». Allora Amore «si decide a recarsi alla corte della Bellezza». In quest’ultima tappa l’essere che è stato preso dovrà conoscere «le tappe e i gradi per i quali passano i fedeli d’amore» e soprattutto dovrà «dare il suo assenso totale all’amore». È a questa condizione che l’iniziato diviene un fedele d’amore ed «è solo dopo di ciò che verranno date le visioni meravigliose».

Ma l’iniziazione stessa è una commozione legata all’amore ispirato dalla bellezza nascosta dell’essere amato. È ciò che vuole esprimere Rûzbehân Baqlî quando dice: «Tu sei per me l’apparizione della bellezza, o mia amica». Certo, non è l’essere amato che conferisce l’iniziazione, e non è nemmeno l’amore stesso, lo è invece l’amore ispirato dalla bellezza nascosta dell’essere amato, perché questo amore fa conoscere la sua bellezza nascosta; in altri termini gli fa vedere il suo angelo e da quel momento egli è introdotto nel Oriente. In tutte le iniziazioni alla Fedeltà d’Amore non si tratta in fondo di altro che dell’angelo di una persona amata della quale esistenza storica non si può nondimeno dubitare. Ogni volta, è il suo angelo che agisce e da cui viene preso il fedele d’amore, cioè dalla bellezza nascosta dell’essere amato. In un passo della sua Immaginazione creatrice nel sufismo di Ibn ‘Arabî, Henry Corbin nota molto giustamente: «Il teofanismo ignora il dilemma perché è tanto lontano dall’allegoria che dal senso letterale; presuppone l’esistenza della persona concreta, ma l’investe di una funzione che la trasfigura, in quanto essa viene percepita alla luce di un altro mondo " (p.47).

Succede a volte che l’angelo dell’essere amato e l’iniziatore – colui che si chiama il maestro invisibile – siano un solo e uno stesso volto di bellezza. È  allora questo maestro che conferisce l’iniziazione. Si tratta qui di un caso molto particolare d’iniziazione all’ordine dei fedeli d’amore. Come regola generale la bellezza stessa dell’essere amato è sufficiente a conferire l’iniziazione, perché essa viene vista con gli occhi dell’anima. Bisogna comprendere che non tutti i fedeli d’amore fanno l’esperienza di questa bellezza alla stessa età o, se si vuole, che questa esperienza, quando arriva, si rivolge a degli uomini che non hanno raggiunto lo stesso grado di sviluppo spirituale. Comunque sia, si tratta sempre di una giovane donna «reale» e del suo angelo che appare al fedele d’amore quando egli contempla la sua bellezza dall'Oriente e non più dal mondo terrestre.

«Dopo che furono passati abbastanza giorni perché fossero compiuti nove anni esatti dall’apparizione, qui descritta, di questa molto gentile, avvenne, l’ultimo di questi giorni, che questa ammirevole dama mi apparve vestita tutta di bianco in mezzo a due dame più anziane; e, passando per la strada, lei volse gli occhi dal lato ove me ne stavo tutto timoroso; e con quella ineffabile cortesia che oggi viene ricompensata nel secolo senza fine, lei m’indirizzò un saluto di così grande effetto che io credetti di vedere gli estremi limiti della beatitudine.» (Vita nova, III). Si sa che questo incontro era stato preceduto da una prima apparizione di Beatrice, che aveva allora 9 anni, - è la Chiamata – e che fu seguito immediatamente dopo da un sogno misterioso dove la stessa Beatrice apparve al poeta tra le mani di Amore. Questo sogno costituisce l’iniziazione di Dante alla Fedeltà d’Amore.
Tutta l’esperienza di fedele d’amore di Ibn ‘Arabî – che l’ha descritta nel suo Interprete dei desideri – procede nella stesa maniera alla vista di una giovane donna da cui è preso: «Quando durante l’anno 1201 soggiornavo alla Mecca, frequentavo una società di persone eminenti, uomini e donne, che formavano un’élite tra le più colte e virtuose. Per quanto grande fosse la loro distinzione, non vidi tuttavia tra di loro nessuno che uguagliasse il saggio dottore e maestro Zâhir ibn Rostam, originario di Ispahan ma che aveva preso residenza alla Mecca (…). Ora, questo sceicco aveva una figlia, un’agile adolescente che incatenava gli sguardi di chiunque la guardasse, la cui sola presenza era l’ornamento delle assemblee e meravigliava fino allo stupore chiunque la contemplasse. Il suo nome era Nezâm (Armonia) e il suo soprannome «Occhio del Sole e della Bellezza». Saggia e pia, aveva esperienza di vita spirituale e mistica, e personificava la venerabile anzianità di tutta la Terra santa e la giovinezza ingenua della grande città fedele al Profeta.»

È proprio durante un soggiorno alla Mecca che Rûzbehân farà l’esperienza della bellezza dell’angelo sotto le spoglie di una giovane donna di cui terrà nascosto il nome. I soli tratti che possiamo immaginare sono la sua estrema bellezza, stando a quanto Rûzbehân ci dice, e la sua cultura spirituale che traspariva in tutto il primo capitolo del Gelsomino dei fedeli d’amore. Questa prova d’amore accadde a Rûzbehân quando era già molto avanzato nella via mistica, il che spiega che quando si era impegnato a «comprendere il segreto della forma umana», «con gli occhi dell’intelligenza», mise un giorno «gli occhi del (suo) corpo» al servizio degli «occhi del suo cuore»:

«Ed ecco che vidi davanti a me una bella e affascinante fata la cui grazia e bellezza conducevano al potere dell’amore tutti gli esseri di questo mondo. (…) La guardai dal sentiero che ella seguiva con graziosa fierezza, e gettando dal volto della mia devozione il velo del pudore, m’indirizzai mentalmente a lei improvvisando questi versi:

"Al di là dell’essenziale, al di là dell’accidentale / Tu sei lo scopo di tutti gli esseri./ Trono e tappeto sono la tua corte reale, / Tutta la Creazione è come un laboratorio per i tuoi propositi".

(…) Nell’incanto del mio cuore le dissi: «Tu fai parte della compagnia dei mistici fedeli d’amore, o bella icona! Perché tu ne sei eminentemente degna, anche se non partecipi con noi all’abbeveraggio dell’amore nell’assemblea dell’estasi».

Da questi due esempi si deve dedurre la realtà dell’amatissima che non è certo un’allegoria, ma che è proprio una persona vivente la cui bellezza provoca l’amore nel cuore del fedele d’amore. Se ne deve dedurre anche che questa bellezza è una bellezza nascosta, che scopre il fedele d’amore, perché l’amore ha aperto in lui gli occhi dell’anima, per riprendere un’espressione di Hâfez Shîrazî. È proprio quello che lascia capire questo passo del Mathnawî di Rûmî, a proposito dei più celebri amanti della letteratura araba, Majnûn e Layla: «Harun aveva sentito parlare dell’amore di Majnûn [Qays] per Layla e desiderava vedere questa famosa bellezza. Avendo fatto venire Layla, non la trovò per niente straordinaria. Chiamò allora Majnûn e gli disse: "Questa Layla, la cui bellezza ti ha messo in questo stato, non è così bella come credi." Majnûn rispose: "La bellezza di Layla è senza difetti, ma il tuo occhio è fallace. Per riconoscere la sua bellezza bisogna avere l’occhio di Majnûn » (I, 407-408).

«L’illuminazione»
Dall’Oriente all’Oriente dell’anima 

«Tengo il segreto della tua bellezza nel più segreto del mio cuore.
Il mio cuore resta in silenzio se mi si domanda il segreto del tuo Nome.»

Man mano che il fedele d’amore progredisce nella sua esperienza amorosa, si muove nell’ambito di quell’Oriente che percorre da un capo all’altro. Nel corso di questa peregrinazione che si compone di tutte le vicissitudini che formano l’amore umano, è effettivamente la persona amata che si trasfigura, fino alla «illuminazione» del fedele d’amore stesso, che costituisce la visione dell’Angelo, perché «l’amore tende alla trasfigurazione della figura terrestre amata, avvicinandola alla luce perché ne faccia sbocciare tutte le potenzialità sovrumane, fino a investirla della funzione teofanica dell’Angelo» (Henry Corbin, L’immaginazione creatrice nel sufismo di Ibn ‘Arabî, p.123).

All’inizio di questo viaggio nell’Oriente non è questione di altro che dell’amore spirituale, «primo gradino del Malakût (o Oriente)», e come nota Rûzbehân Baqlî, «è proprio questo amore che si offre all’ammirazione secondo la dottrina o la «religione dei Fedeli d’Amore». Ma ben presto il fedele d’amore viene preso da un altro amore, che è «l’amore intellettuale», «quando questo intelletto progredisce sotto la protezione dell’anima pensante nel mondo di Malakût» e che «si manifestano gli «effluvi» del mondo dello Jabarût (o Oriente dell’anima)». È qui che si trova l’inizio dell’amore divino, «che è la vetta delle vette», e, precisa Rûzbehân Baqlî, «la fase finale non potrà sorgere che grazie alla visione contemplativa di un essere di bellezza e maestà.».

Di ciò che chiamiamo «illuminazione», visione dell’Angelo, o «visione contemplativa di un essere di bellezza e maestà», per riprendere l’espressione di Rûzbehân Baqlî, i fedeli d’amore ne fanno l’esperienza in modo singolare, ma sempre con delle modalità identiche: apparizione di un essere di bellezza trasfigurato che assomiglia all’amatissima o visione dell’amatissima sotto le spoglie di un Angelo che le rassomiglia. In tutti i casi si tratta proprio della Figura teofanica di cui l’amatissima è l’annunciatrice. Richiamiamo due esperienze viste e raccontate, la prima di Ibn ‘Arabî, la seconda di Dante.

Ibn ‘Arabî
«Una notte, stavo compiendo le deambulazioni circolari di rito intorno al Tempio della Ka’ba. Il mio spirito godeva di una pace profonda; una dolce emozione di cui avevo perfettamente coscienza si era impadronita di me. Uscii dalla superficie in pietra, a causa della folla che vi si pressava, e continuai a circolare sulla sabbia. Improvvisamente mi vennero in mente alcuni versi; li recitai a voce abbastanza alta per essere sentito non solo da me stesso ma anche da qualcuno che mi avesse seguito, supponendo che ci fosse stato lì qualcuno.
Ah! sapere se esse sanno quali cuori hanno posseduto!Come il mio cuore vorrebbe saper quali sentieri di montagna esse hanno preso!Devi crederle sane e salve, o credere che sono perite?
I fedeli d’amore restano perplessi nell’amore e esposti a tutti i pericoli. 

Avevo appena finito di recitarli che sentii sulla spalla il contatto di una mano più dolce della seta. Mi voltai e mi trovai in presenza di una giovane donna, una principessa tra le figlie dei Greci. Non avevo mai visto una donna con un volto più bello, che parlava più soavemente, col cuore più tenero, con le idee più spirituali, con le allusioni simboliche più sottili… Lei superava tutte le persone del suo tempo in finezza di spirito e in cultura, in bellezza e in sapere.»

Dante
Si incontra la stessa situazione nell’esperienza di Dante, così come ce la racconta nella sua Vita nova. Un giorno che è «seduto e tutto assorto da qualche parte», sente nascere nel suo cuore un tremito e gli sembra che Amore gli dica, con grande allegria: «Pensa a benedire il giorno in cui ti ho preso, perché lo devi». « E in verità, continua Dante, sentivo il mio cuore così gioioso che non mi pareva fosse il mio, da tanto che era nuovo il mio stato. E poco dopo che il cuore mi ebbe detto queste parole con linguaggio d’amore, vidi venire verso di me una gentile dama, di rinomata bellezza». Il nome di questa dama è Giovanna, ma il suo soprannome è Primavera. «Guardando dietro di lei, continua Dante, vidi venire l’ammirevole Beatrice. Queste dame passarono vicino a me, una dopo l’altra, e mi sembrò che Amore mi dicesse nel mio cuore: «La prima è chiamata Primavera, solo a causa di questa sua venuta di oggi; perché sono stato io a spingere colui che le ha dato questo nome a chiamarla Primavera, che vuol dire «prima verrà», il giorno in cui Beatrice si mostrerà alla visione del suo fedele. E se inoltre vuoi considerare anche il suo nome originale, è più che dire che verrà prima, poiché il suo nome «Giovanna» deriva da quel Giovanni che precedette la Vera Luce dicendo: Io sono la voce che grida nel deserto, preparate la via del Signore. Mi sembrò che mi dicesse ancora queste parole: «E chi volesse vedere con ancora più penetrazione, chiamerebbe questa Beatrice: Amore, tanto è grande la sua somiglianza con me».

L’«illuminazione» dei fedeli d’amore è quindi vedere l’Angelo, è contemplare la giovane donna che assomiglia alla propria anima sotto la sua Forma teofanica, ed è anche vedere il volto di bellezza dell’Essere divino di cui il volto trasfigurato dell’essere amato porta i tratti, come conferma Rûzbehân Baqlî: «Sono penetrato nel mistero della Bellezza nell’immagine umana che mi offriva questa fidanzata, nella maestosità che rendeva così imponente la grazia della sua natura innata».

Ma vedere l’Angelo, è anche riconoscere il maestro interiore che investe il fedele d’amore della sua dignità ed è comprendere che egli è il proprio Testimone in Cielo. Ora questo maestro porta appunto i tratti «annunciatori » del volto dell’amatissima.

È infine vedere il volto dell’Amico, sotto le apparenze di Sofia, della Sapienza cristica, hikmat ‘isawîya, come dice Ibn ‘Arabî, o della Sapienza divina, secondo la parola di Jacob Boehme: «La sapienza divina è la Vergine eterna non la donna, è la purezza immacolata e la castità, ed appare come l’immagine di Dio e l’immagine della Trinità».

Questo volto che è la bellezza nascosta dell’essere amato e che è anche il volto dell’iniziatore, del maestro invisibile, è lo stesso volto che permette di vedere l’Angelo, il volto del Maestro interiore, dell’Amico, che è anche il volto di Dio stesso, la faccia divina che mostra al fedele d’amore quando questi vede la bellezza dell’essere amato tale e quale come la vede Dio. È quindi sempre lo stesso volto, visto sia con gli occhi dello spirito (amore divino), sia con gli occhi dell’anima (amore spirituale). È quello che farà dire a Semnanî, nel suo Giornale spirituale: «Sappi di scienza certa, o cercatore che aspiri alla conoscenza certa, che da venticinque anni vedo il mio Angelo, nei miei incontri visionari, sempre sotto la stessa forma; mai l’ha scambiata con un’altra; mai è diversa. Certo, succede che questa forma sia a volte più debole, a volte più intensa; a volte sembra sofferente e a volte irraggiante forza; la sua bellezza aumenta a seconda della purezza delle mie azioni, e diminuisce se qualche impurità le appanna. (…) Se non fosse che fantasia immaginaria, non persisterebbe così identica sotto una stessa forma».

A questo livello, dove la sapienza divina si manifesta sotto le apparenze di un Angelo di forma umana, «conoscersi, è conoscere il proprio Signore», cioè il Dio che si manifesta, il proprio Signore, detto anche il Cristo stesso.

Ma esiste una tappa supplementare in questa conoscenza di sé, più intima, anche meno «comunicabile», che è quella che sperimentano i fedeli d’amore quando la figura dell’Imam si sovrappone a quella del Cristo: «colui che conosce il suo Imam, conosce il suo signore.» Tuttavia questa tappa appartiene al «segreto» dei fedeli d’amore. Se ne può dire soltanto questo:

"È nel segreto [al-sirr] del cuore che nasce l’Amore. Quando ne sono presi, i fedeli d’amore dissimulano il loro segreto, lo depositano nel loro cuore come un tesoro nascosto, ed è nel più profondo dell’anima [sirr al-sirr] che contemplano il volto dell’Amata. Non esiste pertanto amore fedele se non vissuto segretamente: sono allora due cuori uniti da un duplice segreto, il loro amore clandestino e il Segreto del loro amore".

È quindi con gli occhi dell’anima che il fedele d’amore contempla l’Amico, nell’intimità della sua coscienza, nella solitudine dell’Amore, e il suo Segreto è un segreto tra lui e Dio.

Il Maestro del Silenzio
«Mantieni il silenzio, affinché il nostro silenzio dica: “È lui l’origine della parola, il Sultano delle parole”.
Rûmî, Odi mistiche, 1039

«Ogni essere ha il suo Loto del limite», dice Semnânî, e spetta solo agli adepti oltrepassare questo limite, a coloro tra i fedeli d’amore che hanno raggiunto «l’esoterico dell’esoterico» dove l’Amore e le Conoscenza cessano di distinguersi per formare una sola gnosi amorosa, «alla vetta della gerarchia», quindi, «al principio comune» dal quale la via dell’Amore e la via della Conoscenza «traggono i loro rispettivi attributi». È così che si entra in questa Conoscenza dove «conoscere il proprio Sé è conoscere il proprio Signore». È anche l’accesso al «puro amore», in altri termini a quel «legame intimo che è estraneo al mondo della natura». Ecco cosa ne dice Rûzbehân Baqlî: «Si sa tra gli uomini e si comprende tra gli gnostici in che modo questo amore non sia corporeo, ma che non sia altro che l’azione del Creatore quando vuole guidare un eletto ai bordi dell’invisibile o del mondo del mistero, e lo proietta nel sentimento innato di questa persona e le permette di vedere con gli occhi dell’anima le bellezze delle opere divine».

Per ritornare al Loto del limite, esiste un limite al di là del quale il fedele d’amore si trova, «Qual è 'l geometra che tutto s'affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige», come dice Dante, nel suo ultimo capitolo della Divina Commedia (133-135). Ma per chi ha raggiunto «il centro divino che è al di là di tutte le sfere»:

«A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l’amor  che move il sole e l'altre stelle»

Ciò che segue quindi alla visione dell’Angelo nell’esperienza dei fedeli d’amore appartiene al Silenzio, a qual che si opera nel «segreto del segreto», che costituisce la parte più intima dell’essere. È la conoscenza del «Maestro del Silenzio», che annuncia l’Angelo, ma come «qualcosa su cui il mistico manterrà il silenzio». Questo Silenzio che è anche una «immutabilità», prefigura in qualche modo l’accesso del fedele d’amore all’Oceano divino, a quell’Oceano della Divinità che Ibn ‘Arabî chiamava con i suoi voti: «Fammi entrare, o Signore, nelle profondità dell’Oceano della tua unità infinita».