giovedì 26 gennaio 2017

Trattati sull’Ordine dei Fedeli d’Amore



«Senza il soffio del vento per sollevare i riccioli dei tuoi capelli – Chi potrebbe mostrare all’amante il volto dell’amata?» Sohravardî

«L’immagine di Dio è la vergine maschile, non l’uomo o la donna» Jacob Boehme

Introduzione:
L’ordine iniziatico dei Fedeli d’Amore è scomparso in Occidente, dalla fine del Medio Evo, vuoi perché i suoi membri abbiano scelto d’emigrare nei Paesi del Medio Oriente, in Siria o in Egitto, vuoi perché il loro piccolo numero abbia alla fine scelto la clandestinità più rigorosa.

Esistono comunque delle prove che si è semplicemente “nascosto” e che resta vivo in Occidente persino fino ai nostri giorni. Naturalmente l’Ordine non esiste più in quanto ordine – perché, dal Medio Evo in poi, non si tratta che di casi isolati, di esperienze individuali. Ma ci si può interrogare su cosa significhi essere un fedele d’amore, adesso che l’Ordine che li riuniva ha palesemente smesso di esistere. In altre parole, essere un fedele d’amore, significa ai nostri giorni l’appartenenza a un ordine costituito come tale, con la sua gerarchia, i suoi riti iniziatici, e il suo linguaggio segreto? René Guénon stesso mette in guardia contro questa confusione a proposito dei Rosa+Croce: «Il termine di Rosa-Croce è in senso proprio la designazione di un grado iniziatico effettivo, il cui possesso, evidentemente, non è necessariamente legato al fatto di appartenere a una specifica organizzazione definita». È lo stesso per ciò che concerne i fedeli d’amore.

Quando si parla della Fedeltà d’Amore bisogna dunque tenere ben presente, certamente un Ordine antico scomparso di cui sono noti alcuni rappresentanti che hanno lasciato delle opere letterarie: Dante, Cavalcanti, ma anche una via e un modo di realizzazione spirituale che alcuni individui, senza dubbio rari, hanno intrapreso dopo che si è «occultato», in condizioni d’altro canto tanto misteriose quanto lo erano all’epoca in cui quest’ordine esisteva: Novalis, Raffaello. Ciò che distingue, in effetti, l’Ordine dei Fedeli d’Amore è la sua disciplina dell’Arcano, il suo “segreto”, il che spiega perché i suoi membri hanno lasciato così poche tracce; tranne naturalmente l’opera intera di Dante, - ma bisogna comunque penetrarne i misteri. Anche su questo punto René Guénon faceva notare che il nostro tempo, per quanto oscuro esso sia in questa fine di kali yuga, e per quanto poco propizio alla conoscenza esoterica, ne permette tuttavia un apprendimento migliore.

Storia dei Fedeli d’Amore
Vi fu un tempo, in Occidente, nel quale l’Ordine dei Fedeli d’Amore esisteva come organizzazione iniziatica, e questo tempo resta legato alla storia delle Crociate. Se si vuole ben considerare, secondo René Guénon, che questa epoca ha prodotto «attivi scambi intellettuali tra l’Oriente e l’Occidente», se ne concluderà che l’iniziazione dei fedeli d’amore li rendeva atti a entrare in relazione con i Fedeli d’Amore d’Oriente. La causa del fatto che tali scambi si siano interrotti per molti secoli è la “degenerazione” dell’Occidente in materia di esoterismo. In compenso il ventesimo secolo ha permesso l’accesso a testi di autori orientali che erano restati inediti in Occidente. La loro esistenza favorisce adesso una migliore conoscenza della Fedeltà d’Amore, che è fondamentalmente d’Oriente e d’Occidente. Ciò significa che l’iniziazione all’ordine dei Fedeli d’Amore sarebbe diventata possibile? Sarebbe disconoscere la natura stessa dell’iniziazione – che è trasmissione – il fatto di credere ciò, e tuttavia René Guénon stesso faceva notare, alla fine del suo Re del Mondo, che «nelle circostanze in mezzo alle quali viviamo adesso, gli avvenimenti si svolgono con una tale rapidità che molte cose i cui motivi non appaiano ancora nell’immediato potrebbero ben trovare, e anche più di quanto si sarebbe tentati di credere, delle applicazioni molto impreviste, se non addirittura imprevedibili.»

D'Oriente e d'Occidente
La storia della Fedeltà d’Amore in Occidente non si ferma con la scomparsa o piuttosto con l’occultazione dell’Ordine dei Fedeli d’Amore. Qui bisogna intendere la parola «Occidente» nel modo in cui ne parla René Guénon in Oriente e Occidente, per esempio, come di spazio geografico, di tradizione cristiana in confronto a un «Oriente» che è di tradizione semitica, musulmana o ebrea. È d’altro canto ciò che spiega come Henry Corbin ne abbia seguito la traccia in direzione di Ibn ‘Arabî, dei teosofi e dei poeti persiani, come Rûzbehân Baqlî, Hâfez o ancora Fakhr ‘Erâqî. Ma la tradizione dei Fedeli d’Amore è anche una tradizione occidentale, nel senso che essa concerne le tre religioni monoteiste, “abramitiche”, o piuttosto i loro esoterismi rispettivi che sono la Cabala, tradizione ebraica, l’esoterismo islamico e l’esoterismo cristiano. Julius Evola e René Guénon sostengono che essa ha il suo equivalente in Estremo Oriente, specialmente in India.

Comunque sia, la storia dei Fedeli d’Amore s’intende in Occidente al di là del termine stabilito da René Guénon – che cita anche Boccaccio e Petrarca, dopo Dante e i Fedeli d’amore. Perciò conviene qui evocare gli “anelli mancanti della catena” che fanno durare questa storia fino ai nostri giorni. Poco importa che si chiamino ai nostri giorni col nome di Fede e Amore, in riferimento a una raccolta di frammenti filosofici del poeta tedesco Novalis. Si iscrivono bene nella stessa linea spirituale che è quella dei Fedeli d’amore. Basterà citarne due, un poeta e un pittore, Novalis e Raffaello: «Il poeta romantico tedesco e il pittore italiano appartengono alla stessa genealogia spirituale, quella degli artisti visionari che sono stati iniziati alla Fedeltà d’Amore dall’apparizione provvidenziale, nelle loro vite, di un certo volto di bellezza, volto umano, come quello di Sofia per Novalis, che egli ha contemplato con gli occhi dell’anima, o immagine divina, quella della Vergine Maria, per Raffaello, che ne ricevette una notte la rivelazione.».

A questo proposito ritorna la stessa domanda: perché Henry Corbin non ne ha fatto menzione? Dato che esistono prove della loro appartenenza alla linea dei fedeli d’amore. È, per esempio, Wackenroder che riporta questa citazione da una lettera del pittore italiano al conte di Castiglione: «Siccome si vedono così poche belle forme femminili, io tengo nella mente una certa immagine che nasce nella mia anima.», o che trascrive qualche foglio di Bramante, a proposito della visione di un’Immagine della Vergine Maria sopravvenuta una notte a Raffaello. Bisognerebbe citare integralmente questo testo. Ma ci limitiamo a ciò: «la cosa più meravigliosa è che gli sembra che quest’immagine era proprio quella che aveva sempre cercato, sebbene non ne avesse avuto mai altro che un presentimento oscuro e confuso» e anche «l’apparizione era restata per sempre incisa nel suo cuore e nei suoi sensi, ed era riuscito quindi a riprodurre i tratti della Madre di Dio come se questi avessero fluttuato sempre davanti alla sua anima, e aveva sempre avuto un certo rispetto persino per le immagini che dipingeva». Se ci dovesse essere un dubbio riguardo alla presenza della Vergine Maria nell’esperienza iniziatica dei Fedeli d’Amore, si ricorderà con René Guénon che esistono numerosi simboli iniziatici della Madre di Gesù per i quali l’applicazione «è perfettamente giustificata per via dei rapporti della Vergine con la Sapienza e la Shekinah».

Quanto a Novalis, qualche estratto del dialogo di Enrico e Matilde, nel suo unico romanzo incompiuto, Enrico di Ofterdingen (1801), permetteranno di comprendere perché è considerato il rappresentante più puro della tradizione occidentale della Fedeltà d’Amore:

«Tu sei la santa che presenta le mie richieste a Dio, l’intermediaria attraverso la quale Lui si rivela a me, l’angelo col quale mi fa conoscere la pienezza del Suo amore. Cos’è la religione, se non un’intelligenza infinita, un’eterna comunione di cuori amanti? Dove due sono riuniti, Lui è in mezzo a loro. Ho di che respirare in te eternamente, e il mio petto non finirà mai di riempirsi di te. Tu sei il divino splendore, la vita eterna nell’involucro più adorabile».

«Se solo tu potessi vedere come mi appari, che irradiante immagine emana dal tuo corpo e viene a illuminare i miei sguardi dappertutto, non temeresti nessuna vecchiaia. La tua forma terrestre non è che un’ombra di quest’immagine; e certo le forze della terra lottano e si prodigano per concretizzarla, per confermarla, ma la natura non è ancora sufficientemente matura: l’immagine è l’archetipo eterno che partecipa al santo mondo sconosciuto».

In queste condizioni si può affermare che la genealogia spirituale dei fedeli d’amore, in Occidente, non si è mai interrotta, anche se non è più il caso di parlare qui di Ordine – e d’altro canto è mai esistito quest’Ordine come tale, non è stato piuttosto un’organizzazione iniziatica, nel senso in cui l’intendeva René Guénon? Che questa organizzazione resti sempre attiva, anche se invisibile, «occultata», non è per questo di meno che una certezza per alcuni. E ciò è quello che importa alla fine. Oltretutto la sua esistenza in Occidente è un segno manifesto dell’appartenenza, ai nostri giorni, dei Fedeli d’Amore d’Occidente a «un’élite spirituale comune ai tre rami della tradizione abramitica», la cui etica «ha origine alle stesse sorgenti e si situa alla stessa altezza d’orizzonte.».

A questo punto si pone un’ultima domanda:
«Riavvicinati in questa comunità di culto e di destino, i Fedeli d’Amore, quelli d’Occidente e quelli dell’Iran ci fanno meglio distinguere almeno l’ordito del cammino nel quale si sono tutti impegnati, mistici, poeti e filosofi. Si chiederà se il percorso della loro Via ha ancora un significato oltre quello storico, per le condizioni del nostro specifico presente storico?»
Henry Corbin nota che «Non c’è una risposta generale né un programma teorico che la possa fornire a questo genere di domanda.». Tuttavia esiste una risposta che è quella data dall’esistenza stessa della Fedeltà d’Amore, ai nostri giorni, in Occidente, di una tradizione che è restata viva e che è fondamentalmente una tradizione d’Oriente e d’Occidente.

L’esperienza spirituale dei Fedeli d’Amore
«Entra e fa della mia anima l’ostaggio del tuo amore, affinché la mia fede divenga perfetta» 

La chiamata
Finché il futuro iniziato rimane nel «mondo occidentale» non sa nulla del suo destino che verrà, se non forse dai presentimenti che avrà avuto durante l’infanzia – tale fu il caso di Rûzbehân Baqlî. Il suo orizzonte «orientale» è quindi oscurato, come per i suoi contemporanei, e non ha neanche coscienza della sua esistenza né quindi del suo «esilio» in questo mondo. È una circostanza particolare che permetterà al futuro iniziato di scoprire che esiste un oriente all’orizzonte del mondo dove vive, per esempio l’incontro con uno straniero che viene da paesi lontani, e le cui parole risvegliano un’eco misteriosa in lui. Fatto notevole, come dirà il giovane eroe dell’Enrico di Ofterdingen di Novalis: «Tutti gli altri l’hanno sentito e ascoltato molto bene, ma nessuno ha provato una simile emozione… Che sensazione stupefacente, - della quale non sono nemmeno capace di parlare.» Per ciò che concerne i fedeli d’amore questa chiamata prende generalmente le sembianze dell’amore umano – che diventa il punto di partenza dello sviluppo spirituale del futuro iniziato – è questo il caso del primo incontro con Beatrice, per Dante, e di quello con Sophie per Novalis. La chiamata viene quindi effettuata con l’intrusione nel quotidiano del «mondo occidentale» di qualcosa che proviene dall’orizzonte «orientale» del mondo visibile. Quando il futuro iniziato prende coscienza di questo orizzonte, si mette in cammino. Non ha ancora nessun maestro, ma ha la fede in ciò che ha sentito e capito della chiamata – ed è un movimento volontario – un’aspirazione dell’anima – che lo spinge a camminare in direzione di questo Oriente. Ma i pericoli sono notevoli e senza un maestro il cammino diventa rapidamente impraticabile. Può persino condurre a un disastro umano. Infatti, o chi si è messo in cammino rinuncia e ritorna nel «mondo occidentale» - così il padre di Enrico di Ofterdingen -, o persiste nella sua marcia ma a rischio della pazzia. L’esempio più caratteristico di un’iniziazione mancata alla Fedeltà d’Amore è senza dubbio quello dato dalla pazzia e dalla morte di Gérard de Nerval. Ci si riferisce ad Aurélia che rintraccia il cammino tragico del poeta e più specificatamente ai Memorabili: «O Morte! Dov’è la tua vittoria, posto che il Messia vincitore cavalcava tra noi due? Il suo vestito era di giacinto sulfureo, e i suoi polsi, così come le sue caviglie, brillavano di diamanti e di rubini. Quando il suo mantello leggero sfiorò la porta di madreperla della nuova Gerusalemme noi fummo tutti e tre inondati di luce. È allora che sono disceso tra gli uomini per annunciare la lieta novella.» Pertanto senza maestro è impossibile andare molto avanti verso l’Oriente. Per i fedeli d’amore del Medio Evo l’iniziazione sarebbe stata conferita da un maestro visibile, appartenente all’Ordine, ma i documenti mancano completamente, e se ci si tiene alle esperienze rispettive dei fedeli d’amore, sia in Occidente che in Oriente, si potrebbe dubitare dell’esistenza di una tale iniziazione. Dante evoca Amore, si sa che Novalis ricevette l’iniziazione dall’angelo di Sophie, Sohravardî s’inventa una genealogia spirituale, etc.

L’iniziazione
Esistono in Occidente dei maestri «invisibili», nel senso che hanno abbandonato la manifestazione terrestre, ma che, siccome hanno appartenuto effettivamente a questi ordini, sono qualificati a conferire l’iniziazione e a comunicare un’influenza spirituale. Naturalmente questi iniziati non sono in grado di conferire a loro volta un’iniziazione che hanno ricevuto in un modo speciale che riguardava solo loro.

Esistono in Oriente dei maestri visibili o invisibili che appartengono a genealogie spirituali «parenti» - che sono la causa del come nel Medio Evo gli ordini esoterici cristiani abbiano potuto entrare in relazione con gli ordini orientali.

C’è soprattutto un certo «incontro» dell’Oriente con l’Occidente, vissuto nel segreto del cuore, che autorizza l’iniziato a entrare in contatto col suo Maestro interiore e di conseguenza a progredire verso gli stati superiori dell’essere, per riprendere la terminologia di René Guénon. È così che è possibile conoscere il proprio Signore.

La Vita nova di Dante descrive molto precisamente le diverse tappe dell’iniziazione alla Fedeltà d’Amore e del "l’illuminazione" che dà accesso all’amore appassionato o di passione che è l’amore dei fedeli d’amore e che non bisogna confondere con l’amore passione dei romantici. L’amore appassionato dei fedeli d’amore non è evidentemente una fatalità. Il capitolo IX del Vademecum dei Fedeli d’Amore di Sohravardî ne dà un riassunto:

All’origine di ogni iniziazione all’Ordine dei Fedeli d’Amore si trova un’esperienza amorosa – che è il punto di partenza di uno sviluppo spirituale nel corso del quale l’amore diventerà un amore di passione. Ma questo sviluppo resta riservato a un piccolo numero: «Amore non apre a chiunque la via che conduce a lui». Come per ogni iniziazione l’essere che è stato preso ne deve manifestare le disposizioni. Ma dopo che l’Amore è venuto a constatare che vi sono le attitudini, «invia a lui Nostalgia che è la sua confidente e la sua delegata, affinché costui purifichi la sua dimora e non vi faccia entrare nessuno». Si tratta quindi di una prima tappa nello sviluppo personale dell’essere sinceramente preso che è quella dell’iniziazione. In seguito «bisogna che Amore faccia il giro della dimora e scenda fino alla cella del cuore. Distrugge alcune cose; ne costruisce delle altre; fa passare per tutte le varianti del comportamento amoroso». È al termine di questa seconda tappa che si produce «l’illuminazione» – che è ciò che simbolizza il Cuore gentile secondo Dante, cioè «il cuore purificato, dunque vuoto di tutto ciò che concerne gli oggetti esteriori, e per ciò stesso reso atto a ricevere l’illuminazione interiore». Allora Amore «si decide a recarsi alla corte della Bellezza». In quest’ultima tappa l’essere che è stato preso dovrà conoscere «le tappe e i gradi per i quali passano i fedeli d’amore» e soprattutto dovrà «dare il suo assenso totale all’amore». È a questa condizione che l’iniziato diviene un fedele d’amore ed «è solo dopo di ciò che verranno date le visioni meravigliose».

Ma l’iniziazione stessa è una commozione legata all’amore ispirato dalla bellezza nascosta dell’essere amato. È ciò che vuole esprimere Rûzbehân Baqlî quando dice: «Tu sei per me l’apparizione della bellezza, o mia amica». Certo, non è l’essere amato che conferisce l’iniziazione, e non è nemmeno l’amore stesso, lo è invece l’amore ispirato dalla bellezza nascosta dell’essere amato, perché questo amore fa conoscere la sua bellezza nascosta; in altri termini gli fa vedere il suo angelo e da quel momento egli è introdotto nel Oriente. In tutte le iniziazioni alla Fedeltà d’Amore non si tratta in fondo di altro che dell’angelo di una persona amata della quale esistenza storica non si può nondimeno dubitare. Ogni volta, è il suo angelo che agisce e da cui viene preso il fedele d’amore, cioè dalla bellezza nascosta dell’essere amato. In un passo della sua Immaginazione creatrice nel sufismo di Ibn ‘Arabî, Henry Corbin nota molto giustamente: «Il teofanismo ignora il dilemma perché è tanto lontano dall’allegoria che dal senso letterale; presuppone l’esistenza della persona concreta, ma l’investe di una funzione che la trasfigura, in quanto essa viene percepita alla luce di un altro mondo " (p.47).

Succede a volte che l’angelo dell’essere amato e l’iniziatore – colui che si chiama il maestro invisibile – siano un solo e uno stesso volto di bellezza. È  allora questo maestro che conferisce l’iniziazione. Si tratta qui di un caso molto particolare d’iniziazione all’ordine dei fedeli d’amore. Come regola generale la bellezza stessa dell’essere amato è sufficiente a conferire l’iniziazione, perché essa viene vista con gli occhi dell’anima. Bisogna comprendere che non tutti i fedeli d’amore fanno l’esperienza di questa bellezza alla stessa età o, se si vuole, che questa esperienza, quando arriva, si rivolge a degli uomini che non hanno raggiunto lo stesso grado di sviluppo spirituale. Comunque sia, si tratta sempre di una giovane donna «reale» e del suo angelo che appare al fedele d’amore quando egli contempla la sua bellezza dall'Oriente e non più dal mondo terrestre.

«Dopo che furono passati abbastanza giorni perché fossero compiuti nove anni esatti dall’apparizione, qui descritta, di questa molto gentile, avvenne, l’ultimo di questi giorni, che questa ammirevole dama mi apparve vestita tutta di bianco in mezzo a due dame più anziane; e, passando per la strada, lei volse gli occhi dal lato ove me ne stavo tutto timoroso; e con quella ineffabile cortesia che oggi viene ricompensata nel secolo senza fine, lei m’indirizzò un saluto di così grande effetto che io credetti di vedere gli estremi limiti della beatitudine.» (Vita nova, III). Si sa che questo incontro era stato preceduto da una prima apparizione di Beatrice, che aveva allora 9 anni, - è la Chiamata – e che fu seguito immediatamente dopo da un sogno misterioso dove la stessa Beatrice apparve al poeta tra le mani di Amore. Questo sogno costituisce l’iniziazione di Dante alla Fedeltà d’Amore.
Tutta l’esperienza di fedele d’amore di Ibn ‘Arabî – che l’ha descritta nel suo Interprete dei desideri – procede nella stesa maniera alla vista di una giovane donna da cui è preso: «Quando durante l’anno 1201 soggiornavo alla Mecca, frequentavo una società di persone eminenti, uomini e donne, che formavano un’élite tra le più colte e virtuose. Per quanto grande fosse la loro distinzione, non vidi tuttavia tra di loro nessuno che uguagliasse il saggio dottore e maestro Zâhir ibn Rostam, originario di Ispahan ma che aveva preso residenza alla Mecca (…). Ora, questo sceicco aveva una figlia, un’agile adolescente che incatenava gli sguardi di chiunque la guardasse, la cui sola presenza era l’ornamento delle assemblee e meravigliava fino allo stupore chiunque la contemplasse. Il suo nome era Nezâm (Armonia) e il suo soprannome «Occhio del Sole e della Bellezza». Saggia e pia, aveva esperienza di vita spirituale e mistica, e personificava la venerabile anzianità di tutta la Terra santa e la giovinezza ingenua della grande città fedele al Profeta.»

È proprio durante un soggiorno alla Mecca che Rûzbehân farà l’esperienza della bellezza dell’angelo sotto le spoglie di una giovane donna di cui terrà nascosto il nome. I soli tratti che possiamo immaginare sono la sua estrema bellezza, stando a quanto Rûzbehân ci dice, e la sua cultura spirituale che traspariva in tutto il primo capitolo del Gelsomino dei fedeli d’amore. Questa prova d’amore accadde a Rûzbehân quando era già molto avanzato nella via mistica, il che spiega che quando si era impegnato a «comprendere il segreto della forma umana», «con gli occhi dell’intelligenza», mise un giorno «gli occhi del (suo) corpo» al servizio degli «occhi del suo cuore»:

«Ed ecco che vidi davanti a me una bella e affascinante fata la cui grazia e bellezza conducevano al potere dell’amore tutti gli esseri di questo mondo. (…) La guardai dal sentiero che ella seguiva con graziosa fierezza, e gettando dal volto della mia devozione il velo del pudore, m’indirizzai mentalmente a lei improvvisando questi versi:

"Al di là dell’essenziale, al di là dell’accidentale / Tu sei lo scopo di tutti gli esseri./ Trono e tappeto sono la tua corte reale, / Tutta la Creazione è come un laboratorio per i tuoi propositi".

(…) Nell’incanto del mio cuore le dissi: «Tu fai parte della compagnia dei mistici fedeli d’amore, o bella icona! Perché tu ne sei eminentemente degna, anche se non partecipi con noi all’abbeveraggio dell’amore nell’assemblea dell’estasi».

Da questi due esempi si deve dedurre la realtà dell’amatissima che non è certo un’allegoria, ma che è proprio una persona vivente la cui bellezza provoca l’amore nel cuore del fedele d’amore. Se ne deve dedurre anche che questa bellezza è una bellezza nascosta, che scopre il fedele d’amore, perché l’amore ha aperto in lui gli occhi dell’anima, per riprendere un’espressione di Hâfez Shîrazî. È proprio quello che lascia capire questo passo del Mathnawî di Rûmî, a proposito dei più celebri amanti della letteratura araba, Majnûn e Layla: «Harun aveva sentito parlare dell’amore di Majnûn [Qays] per Layla e desiderava vedere questa famosa bellezza. Avendo fatto venire Layla, non la trovò per niente straordinaria. Chiamò allora Majnûn e gli disse: "Questa Layla, la cui bellezza ti ha messo in questo stato, non è così bella come credi." Majnûn rispose: "La bellezza di Layla è senza difetti, ma il tuo occhio è fallace. Per riconoscere la sua bellezza bisogna avere l’occhio di Majnûn » (I, 407-408).

«L’illuminazione»
Dall’Oriente all’Oriente dell’anima 

«Tengo il segreto della tua bellezza nel più segreto del mio cuore.
Il mio cuore resta in silenzio se mi si domanda il segreto del tuo Nome.»

Man mano che il fedele d’amore progredisce nella sua esperienza amorosa, si muove nell’ambito di quell’Oriente che percorre da un capo all’altro. Nel corso di questa peregrinazione che si compone di tutte le vicissitudini che formano l’amore umano, è effettivamente la persona amata che si trasfigura, fino alla «illuminazione» del fedele d’amore stesso, che costituisce la visione dell’Angelo, perché «l’amore tende alla trasfigurazione della figura terrestre amata, avvicinandola alla luce perché ne faccia sbocciare tutte le potenzialità sovrumane, fino a investirla della funzione teofanica dell’Angelo» (Henry Corbin, L’immaginazione creatrice nel sufismo di Ibn ‘Arabî, p.123).

All’inizio di questo viaggio nell’Oriente non è questione di altro che dell’amore spirituale, «primo gradino del Malakût (o Oriente)», e come nota Rûzbehân Baqlî, «è proprio questo amore che si offre all’ammirazione secondo la dottrina o la «religione dei Fedeli d’Amore». Ma ben presto il fedele d’amore viene preso da un altro amore, che è «l’amore intellettuale», «quando questo intelletto progredisce sotto la protezione dell’anima pensante nel mondo di Malakût» e che «si manifestano gli «effluvi» del mondo dello Jabarût (o Oriente dell’anima)». È qui che si trova l’inizio dell’amore divino, «che è la vetta delle vette», e, precisa Rûzbehân Baqlî, «la fase finale non potrà sorgere che grazie alla visione contemplativa di un essere di bellezza e maestà.».

Di ciò che chiamiamo «illuminazione», visione dell’Angelo, o «visione contemplativa di un essere di bellezza e maestà», per riprendere l’espressione di Rûzbehân Baqlî, i fedeli d’amore ne fanno l’esperienza in modo singolare, ma sempre con delle modalità identiche: apparizione di un essere di bellezza trasfigurato che assomiglia all’amatissima o visione dell’amatissima sotto le spoglie di un Angelo che le rassomiglia. In tutti i casi si tratta proprio della Figura teofanica di cui l’amatissima è l’annunciatrice. Richiamiamo due esperienze viste e raccontate, la prima di Ibn ‘Arabî, la seconda di Dante.

Ibn ‘Arabî
«Una notte, stavo compiendo le deambulazioni circolari di rito intorno al Tempio della Ka’ba. Il mio spirito godeva di una pace profonda; una dolce emozione di cui avevo perfettamente coscienza si era impadronita di me. Uscii dalla superficie in pietra, a causa della folla che vi si pressava, e continuai a circolare sulla sabbia. Improvvisamente mi vennero in mente alcuni versi; li recitai a voce abbastanza alta per essere sentito non solo da me stesso ma anche da qualcuno che mi avesse seguito, supponendo che ci fosse stato lì qualcuno.
Ah! sapere se esse sanno quali cuori hanno posseduto!Come il mio cuore vorrebbe saper quali sentieri di montagna esse hanno preso!Devi crederle sane e salve, o credere che sono perite?
I fedeli d’amore restano perplessi nell’amore e esposti a tutti i pericoli. 

Avevo appena finito di recitarli che sentii sulla spalla il contatto di una mano più dolce della seta. Mi voltai e mi trovai in presenza di una giovane donna, una principessa tra le figlie dei Greci. Non avevo mai visto una donna con un volto più bello, che parlava più soavemente, col cuore più tenero, con le idee più spirituali, con le allusioni simboliche più sottili… Lei superava tutte le persone del suo tempo in finezza di spirito e in cultura, in bellezza e in sapere.»

Dante
Si incontra la stessa situazione nell’esperienza di Dante, così come ce la racconta nella sua Vita nova. Un giorno che è «seduto e tutto assorto da qualche parte», sente nascere nel suo cuore un tremito e gli sembra che Amore gli dica, con grande allegria: «Pensa a benedire il giorno in cui ti ho preso, perché lo devi». « E in verità, continua Dante, sentivo il mio cuore così gioioso che non mi pareva fosse il mio, da tanto che era nuovo il mio stato. E poco dopo che il cuore mi ebbe detto queste parole con linguaggio d’amore, vidi venire verso di me una gentile dama, di rinomata bellezza». Il nome di questa dama è Giovanna, ma il suo soprannome è Primavera. «Guardando dietro di lei, continua Dante, vidi venire l’ammirevole Beatrice. Queste dame passarono vicino a me, una dopo l’altra, e mi sembrò che Amore mi dicesse nel mio cuore: «La prima è chiamata Primavera, solo a causa di questa sua venuta di oggi; perché sono stato io a spingere colui che le ha dato questo nome a chiamarla Primavera, che vuol dire «prima verrà», il giorno in cui Beatrice si mostrerà alla visione del suo fedele. E se inoltre vuoi considerare anche il suo nome originale, è più che dire che verrà prima, poiché il suo nome «Giovanna» deriva da quel Giovanni che precedette la Vera Luce dicendo: Io sono la voce che grida nel deserto, preparate la via del Signore. Mi sembrò che mi dicesse ancora queste parole: «E chi volesse vedere con ancora più penetrazione, chiamerebbe questa Beatrice: Amore, tanto è grande la sua somiglianza con me».

L’«illuminazione» dei fedeli d’amore è quindi vedere l’Angelo, è contemplare la giovane donna che assomiglia alla propria anima sotto la sua Forma teofanica, ed è anche vedere il volto di bellezza dell’Essere divino di cui il volto trasfigurato dell’essere amato porta i tratti, come conferma Rûzbehân Baqlî: «Sono penetrato nel mistero della Bellezza nell’immagine umana che mi offriva questa fidanzata, nella maestosità che rendeva così imponente la grazia della sua natura innata».

Ma vedere l’Angelo, è anche riconoscere il maestro interiore che investe il fedele d’amore della sua dignità ed è comprendere che egli è il proprio Testimone in Cielo. Ora questo maestro porta appunto i tratti «annunciatori » del volto dell’amatissima.

È infine vedere il volto dell’Amico, sotto le apparenze di Sofia, della Sapienza cristica, hikmat ‘isawîya, come dice Ibn ‘Arabî, o della Sapienza divina, secondo la parola di Jacob Boehme: «La sapienza divina è la Vergine eterna non la donna, è la purezza immacolata e la castità, ed appare come l’immagine di Dio e l’immagine della Trinità».

Questo volto che è la bellezza nascosta dell’essere amato e che è anche il volto dell’iniziatore, del maestro invisibile, è lo stesso volto che permette di vedere l’Angelo, il volto del Maestro interiore, dell’Amico, che è anche il volto di Dio stesso, la faccia divina che mostra al fedele d’amore quando questi vede la bellezza dell’essere amato tale e quale come la vede Dio. È quindi sempre lo stesso volto, visto sia con gli occhi dello spirito (amore divino), sia con gli occhi dell’anima (amore spirituale). È quello che farà dire a Semnanî, nel suo Giornale spirituale: «Sappi di scienza certa, o cercatore che aspiri alla conoscenza certa, che da venticinque anni vedo il mio Angelo, nei miei incontri visionari, sempre sotto la stessa forma; mai l’ha scambiata con un’altra; mai è diversa. Certo, succede che questa forma sia a volte più debole, a volte più intensa; a volte sembra sofferente e a volte irraggiante forza; la sua bellezza aumenta a seconda della purezza delle mie azioni, e diminuisce se qualche impurità le appanna. (…) Se non fosse che fantasia immaginaria, non persisterebbe così identica sotto una stessa forma».

A questo livello, dove la sapienza divina si manifesta sotto le apparenze di un Angelo di forma umana, «conoscersi, è conoscere il proprio Signore», cioè il Dio che si manifesta, il proprio Signore, detto anche il Cristo stesso.

Ma esiste una tappa supplementare in questa conoscenza di sé, più intima, anche meno «comunicabile», che è quella che sperimentano i fedeli d’amore quando la figura dell’Imam si sovrappone a quella del Cristo: «colui che conosce il suo Imam, conosce il suo signore.» Tuttavia questa tappa appartiene al «segreto» dei fedeli d’amore. Se ne può dire soltanto questo:

"È nel segreto [al-sirr] del cuore che nasce l’Amore. Quando ne sono presi, i fedeli d’amore dissimulano il loro segreto, lo depositano nel loro cuore come un tesoro nascosto, ed è nel più profondo dell’anima [sirr al-sirr] che contemplano il volto dell’Amata. Non esiste pertanto amore fedele se non vissuto segretamente: sono allora due cuori uniti da un duplice segreto, il loro amore clandestino e il Segreto del loro amore".

È quindi con gli occhi dell’anima che il fedele d’amore contempla l’Amico, nell’intimità della sua coscienza, nella solitudine dell’Amore, e il suo Segreto è un segreto tra lui e Dio.

Il Maestro del Silenzio
«Mantieni il silenzio, affinché il nostro silenzio dica: “È lui l’origine della parola, il Sultano delle parole”.
Rûmî, Odi mistiche, 1039

«Ogni essere ha il suo Loto del limite», dice Semnânî, e spetta solo agli adepti oltrepassare questo limite, a coloro tra i fedeli d’amore che hanno raggiunto «l’esoterico dell’esoterico» dove l’Amore e le Conoscenza cessano di distinguersi per formare una sola gnosi amorosa, «alla vetta della gerarchia», quindi, «al principio comune» dal quale la via dell’Amore e la via della Conoscenza «traggono i loro rispettivi attributi». È così che si entra in questa Conoscenza dove «conoscere il proprio Sé è conoscere il proprio Signore». È anche l’accesso al «puro amore», in altri termini a quel «legame intimo che è estraneo al mondo della natura». Ecco cosa ne dice Rûzbehân Baqlî: «Si sa tra gli uomini e si comprende tra gli gnostici in che modo questo amore non sia corporeo, ma che non sia altro che l’azione del Creatore quando vuole guidare un eletto ai bordi dell’invisibile o del mondo del mistero, e lo proietta nel sentimento innato di questa persona e le permette di vedere con gli occhi dell’anima le bellezze delle opere divine».

Per ritornare al Loto del limite, esiste un limite al di là del quale il fedele d’amore si trova, «Qual è 'l geometra che tutto s'affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige», come dice Dante, nel suo ultimo capitolo della Divina Commedia (133-135). Ma per chi ha raggiunto «il centro divino che è al di là di tutte le sfere»:

«A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l’amor  che move il sole e l'altre stelle»

Ciò che segue quindi alla visione dell’Angelo nell’esperienza dei fedeli d’amore appartiene al Silenzio, a qual che si opera nel «segreto del segreto», che costituisce la parte più intima dell’essere. È la conoscenza del «Maestro del Silenzio», che annuncia l’Angelo, ma come «qualcosa su cui il mistico manterrà il silenzio». Questo Silenzio che è anche una «immutabilità», prefigura in qualche modo l’accesso del fedele d’amore all’Oceano divino, a quell’Oceano della Divinità che Ibn ‘Arabî chiamava con i suoi voti: «Fammi entrare, o Signore, nelle profondità dell’Oceano della tua unità infinita».

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